“Sul pianoforte preferisco i tasti neri.
E gli accordi di diesis e bemolle
suonano meglio anche sulla chitarra”
(Bob Dylan)
La scena musicale allora era un mortorio. Non
erano ancora comparsi i Beatles o i Rolling Stones. E neppure gli Who. Ero a New York, alloggiavo al Greenwich
Village. Suonavo la chitarra e l’armonica. Facevo musica popolare, canzoni che
la gente si passa di mano in mano.
Non avevo bisogno di sostanze stupefacenti.
Qualche altro luogo è sempre a un attimo di distanza da dove sei tu. Non c’è
una regola. Non c’è una logica. Per questo la faccenda è così affascinante.
Puoi benissimo essere nel pieno delle tue facoltà mentali e fare qualcosa che
ti eccita sotto mille punti di vista. Così era per me allora e lo è ancora
oggi.
Ciò che mi emozionava era l’affondamento di una
nave da crociera, il disastro provocato dal passaggio di un ciclone, un Tizio
che uccide Caio a colpi di piccone, un Sempronio che spara a un uomo mentre
lavora in ufficio. Era questa la vera attualità. E, del resto, non lo è ancora?
A quei tempi ero un affarino cencioso. La gente
aveva bisogno di un riconoscimento ufficiale prima di ascoltarmi. E il riconoscimento,
inaspettato, venne. Una cantautrice famosa, pacifista, impegnata per i diritti
civili, seppe apprezzarmi per come ero. E lo fece pubblicamente. Se non
l’avesse fatto, nessuno avrebbe sentito parlare di me. Così almeno si dice in
giro…
Firmai un contratto con un produttore
discografico per la più vecchia etichetta del continente. Nella moderna Gomorra
mi esibivo nei Cafè prima e dopo comici che ora tutto il mondo conosce. Erano
locali, quelli, dove si faceva passare il cappello per raggranellare
l’ingaggio. Spesso a farlo era una cameriera che, sotto il cappotto, portava
una camicetta abbondantemente aperta sul davanti.
Per qualcuno sono stato un profeta, per qualcun
altro un poeta come Rimbaud, per altri ancora un simbolo del periodo folk. Io
mi sentivo, e mi sento ancora, un menestrello, dall’età di undici anni. Per
qualcuno sono stato un predicatore, un pastore di anime. Io ero, e lo sono
ancora, una pietra che rotola. Per qualcuno sono stato un grande musicista, una
rockstar. Io mi immaginavo, e lo faccio ancora, come un pistolero alla Billy
the Kid, un cavaliere solitario.
Ho avuto delle fidanzate e non le ho più. Ho
avuto una moglie e non l’ho più. Non so molto di me. Mi sveglio e sono una
certa persona, ma poi quando vado a dormire sono qualcun altro. Per la maggior
parte del tempo non so chi sono. Eppure dentro di me e dentro di te c’è un
punto da cui possiamo guardare le cose senza farcene influenzare troppo. Un
punto in cui possiamo dare un contributo sulla questione, invece che prendere e
solo prendere prendere prendere prendere.