Nello shir ha-shirim, il cantico dei cantici dall’erotismo esplicito,
il nome di Dio non compare. (L’unico altro caso di assenza del tetragramma JHWH
nella bibbia ebraica è il libro di Ester.) Quello che rabbi ‘Aqiva definì il
santo dei santi entrò nel canone per ultimo e divenne scrittura sacra solo nel
II secolo dell’era volgare.
L’autore (ignoto) del cantico dei cantici attinge da una
lirica amorosa egizia l’espressione “mio amato che turba il mio cuore” e dalla
letteratura sumerica il termine “mio fratello”, il letto che stilla miele, il
giardino e il chiavistello della porta.
La vigna e le volpi che la saccheggiano è un’immagine del
poeta Teocrito. La riccioluta piccola e nera, dalla pelle più dolce del velluto,
compare negli epigrammi di Filodemo di Gàdara. Il color del miele della donna
scurita dal sole si trova nell’antologia palatina nei versi di Meleagro.
Dello stesso Meleagro è il pensiero dell’amore forte come la
morte. Amore e sesso sono forze ambivalenti, bipolari, creatrici e distruttrici
insieme. Per questo le leggi sacerdotali (Levitico 18 e 20) ponevano dei limiti
di comportamento alla minoranza ebraica dell’Egitto romano.
La prima parola greca adottata dalla lingua ebraica, la portantina
di Salomone detta appiryon (dal greco phoreion) tradisce il genere e l’ispirazione
ellenistici del cantico. Un secolo prima Qohelet, un intellettuale alla corte
di Gerusalemme, si era confrontato in ebraico con il pensiero di stoici, cinici
ed epicurei. Così il cantico, come proverbi e qohelet, venne attribuito al
saggio re Salomone.
Furono rabbi ‘Aqiva e il padre della chiesa Origene, nel
secondo e terzo secolo dopo l’era volgare, a leggere lo shir ha shirim come
un’allegoria. La coppia fu, di volta in volta, JHWH e il popolo d’Israele,
Cristo (il verbo divino incarnato) e la Chiesa, Dio e l’anima umana. L’espressione
le sue fiamme (shalhevoteah) fu modificata, inserendo uno spazio, in fiamma di
Dio (shalshevet Yah).
Eppure il mito delle nozze sacre tra la dea Inanna e il
pastore Dumuzi, simboli dell’armonia tra il cielo e la terra, era nata tra i
fiumi Tigri ed Eufrate diverranno. Millenni più tardi, gli dei Ishtar e Tammuz,
saranno adorati a Babilonia e in Siria, Fenicia e Palestina. Per un periodo ciò
avvenne persino nel tempio di Gerusalemme (Ezechiele 8,14-15). Diverranno Adone
e Afrodite nel mondo ellenistico e quest’ultima sarà la Venere romana.
Il cantico trasforma l’eros cosmico in un semplice incontro
di una coppia di umani. Nessuna sacralizzazione del sesso. Dio non entra nella
trama, resta solo un elemento della scenografia.