domenica 9 maggio 2021

Bob Dylan


 

“Sul pianoforte preferisco i tasti neri.

E gli accordi di diesis e bemolle

suonano meglio anche sulla chitarra”

(Bob Dylan)

 

La scena musicale allora era un mortorio. Non erano ancora comparsi i Beatles o i Rolling Stones. E neppure gli Who. Ero a New York, alloggiavo al Greenwich Village. Suonavo la chitarra e l’armonica. Facevo musica popolare, canzoni che la gente si passa di mano in mano.

 

Non avevo bisogno di sostanze stupefacenti. Qualche altro luogo è sempre a un attimo di distanza da dove sei tu. Non c’è una regola. Non c’è una logica. Per questo la faccenda è così affascinante. Puoi benissimo essere nel pieno delle tue facoltà mentali e fare qualcosa che ti eccita sotto mille punti di vista. Così era per me allora e lo è ancora oggi.

 

Ciò che mi emozionava era l’affondamento di una nave da crociera, il disastro provocato dal passaggio di un ciclone, un Tizio che uccide Caio a colpi di piccone, un Sempronio che spara a un uomo mentre lavora in ufficio. Era questa la vera attualità. E, del resto, non lo è ancora?

 

A quei tempi ero un affarino cencioso. La gente aveva bisogno di un riconoscimento ufficiale prima di ascoltarmi. E il riconoscimento, inaspettato, venne. Una cantautrice famosa, pacifista, impegnata per i diritti civili, seppe apprezzarmi per come ero. E lo fece pubblicamente. Se non l’avesse fatto, nessuno avrebbe sentito parlare di me. Così almeno si dice in giro…

 

Firmai un contratto con un produttore discografico per la più vecchia etichetta del continente. Nella moderna Gomorra mi esibivo nei Cafè prima e dopo comici che ora tutto il mondo conosce. Erano locali, quelli, dove si faceva passare il cappello per raggranellare l’ingaggio. Spesso a farlo era una cameriera che, sotto il cappotto, portava una camicetta abbondantemente aperta sul davanti.

 

Per qualcuno sono stato un profeta, per qualcun altro un poeta come Rimbaud, per altri ancora un simbolo del periodo folk. Io mi sentivo, e mi sento ancora, un menestrello, dall’età di undici anni. Per qualcuno sono stato un predicatore, un pastore di anime. Io ero, e lo sono ancora, una pietra che rotola. Per qualcuno sono stato un grande musicista, una rockstar. Io mi immaginavo, e lo faccio ancora, come un pistolero alla Billy the Kid, un cavaliere solitario.

 

Ho avuto delle fidanzate e non le ho più. Ho avuto una moglie e non l’ho più. Non so molto di me. Mi sveglio e sono una certa persona, ma poi quando vado a dormire sono qualcun altro. Per la maggior parte del tempo non so chi sono. Eppure dentro di me e dentro di te c’è un punto da cui possiamo guardare le cose senza farcene influenzare troppo. Un punto in cui possiamo dare un contributo sulla questione, invece che prendere e solo prendere prendere prendere prendere.

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