Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. (v. 1)
Nicodemo è un ebreo di Palestina, come Gesù. Il primo colloquio di Gesù è un dialogo tra ebrei. Nell’evangelo di Giovanni sono molti i dialoghi di Gesù con le persone che incontra. Una galleria di ritratti, volti, creature umane: Giovanni il Battista, i discepoli, Maria di Magdala, Nicodemo, il cieco nato, la samaritana. La Parola è parola che si fa “comunicazione” nel “dialogo”. Un dialogo che a un certo punto sfuma in un monologo. A parlare è la Parola comune di Gesù e della comunità cristiana. Nicodemo è un uomo colto, membro del Sinedrio (il tribunale religioso e civile d’Israele), fariseo, teologo. Il brano, stranamente, è privo di ambientazione.
Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbi, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro: nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». (v. 2)
La scena si svolge di notte, Nicodemo vuole conoscere Gesù. Comincia con un apprezzamento. I segni o azioni miracolose di Gesù. “Raffigurare l’invisibile”. Mostrare la vicinanza, l’abbassamento, la cura per i deboli che incontra. Giovanni non narra la “trasfigurazione”. Spera che Gesù risponda a tono, in modo simpatetico. Gesù invece capovolge il discorso. Anche tra le persone di fede c’è chi crede malamente.
Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». Gli disse Nicodemo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». (vv. 3-4)
Nicodemo non capisce, è sconcertato. La “notte” è fuori, ma anche dentro di lui. Gesù non compie alcun segno. Affida la testimonianza alla parola. Anche noi oggi non sappiamo fare niente di più per comunicare Gesù, specialmente a persone erudite e scettiche.
Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Von meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: cosi è chiunque è nato dallo Spirito». (vv. 5-8)
Il regno di Dio — espressione insolita per Giovanni — richiede una rinascita mediante lo Spirito di cui l’acqua è simbolo. L’immagine dello Spirito non è nuova. Il profeta Ezechiele ha visto un vento che rianima una valle di ossa secche e le trasforma in un popolo (37, 1 — 14). La rinascita in età matura non era tuttavia categoria ebraica. Neppure umana: non è possibile rinascere in senso materiale. Piuttosto è possibile nello Spirito, dando un taglio netto alla propria vita. I primi cristiani contavano gli anni dal momento della conversione. Poteva capitare di incontrare un ottantenne che diceva di avere dieci anni.
Gli replicò Nicodemo: «Come può accadere questo?». (v. 9)
Nicodemo, che non riesce a uscire dalla notte, è il simbolo dei maestri d’Israele che non riescono a comprendere le parole di Gesù. Anche noi spesso parliamo di Gesù ma continuiamo a vivere distanti da lui. Non ci lasciamo coinvolgere, prendere dal fuoco di Dio, abbiamo paura di bruciarci.
Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro d’Israele e non conosci queste cose? ln verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. (vv. 10-15)
Tutto ciò che scende, risale. In Giovanni c’è una doppia elevazione; croce e risurrezione. Il serpente di bronzo di Mosè, se guardato con fiducia in Dio, proteggeva gli ebrei dal morso mortale dei serpenti (Numeri 21,9). Il Gesù innalzato dona la vita eterna ai credenti.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». (vv. 16-21)
Gli uomini malvagi temono la luce che rivela le loro opere. Non è il caso di Nicodemo che, nell’evangelo, compare altre due volte. Nel Sinedrio difende Gesù e riceve un rimprovero: “Sei galileo (seguace di Gesù) anche tu?” (7, 50). Infine porta oli e profumi per il corpo deposto dalla croce (19, 39). Non sappiamo se, infine, ha creduto in Gesù. Si può riconoscere Gesù quale maestro venuto da Dio e degno di una sepoltura regale. La conversione però è passo ulteriore e nascosto in ciascuno; si rende visibile solo attraverso i frutti di vita. La rivelazione di Dio in Gesù passa attraverso la croce. Qui avviene la riconciliazione del mondo (2 Corinzi 5, 18-19). Beato chi si apre a questa seconda nascita.
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