martedì 19 marzo 2019

Le stelle e i profeti

Dio parlava a Mosè faccia a faccia (panim le panim). Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè (Dt 34,10). Così si conclude la prima sezione (toràh), la più importante, della bibbia ebraica (miqrà). La sezione dei profeti anteriori (nevi'ìm rishonìm), la seconda della bibbia ebraica, si apre con il compito affidato a Giosuè di osservare e mettere in pratica tutti gli insegnamenti trasmessi da Mosè. Non deviare né a destra né a sinistra e così avrai successo in ogni impresa (Gs 1,7). La terza sezione della bibbia ebraica, i cosiddetti profeti posteriori (nevi'ìm acharonìm), esorta a tenere a mente l’insegnamento di Mosè mentre apre una prospettiva futura. Promette di inviare nuovamente il profeta Elia prima del giorno terribile del giudizio (Mal 3,22).

C’è ancora una sezione della bibbia ebraica (ketuvìm), la quarta, in cui sono conservati gli scritti. Gli ultimi in ordine canonico sono i libri delle cronache. Così l’intera bibbia ebraica si conclude con l’editto di Ciro re di Persia. Gli ebrei sono in esilio nelle terre degli assiri e dei babilonesi. Ciro, che ha conquistato tutti i regni della terra, vuole costruire un tempio al Dio del cielo in quel di Gerusalemme. Per questo ordina agli ebrei di tornare nella terra promessa (2 Cr 36,22). Come fece Abramo quando lasciò la casa di suo padre. Come fece Mosè quando condusse il popolo fuori dall’Egitto.

È strana questa posizione dei libri delle cronache. Dal punto di vista storico dovrebbero trovare posto nella sezione dei profeti anteriori, dopo i libri di Samuele e dei re, come nella bibbia cattolica. Ma gli artefici del canone ebraico avevano in mente altro. Il mistico ebreo Abulafia consiglia di meditare di notte. Osservando le stelle sperimentiamo nel presente la manifestazione del passato. Questo è il compito della profezia. I libri di Mosè sono l’archetipo di Israele. I libri dei profeti sono l’applicazione di quegli insegnamenti al tempo presente. Un presente difficile, segnato dall’oblio, un tempo in cui fare ritorno a Dio.



Per questo i profeti, nemici del letteralismo, si servono di immagini poetiche. Esperti di pedagogia, cominciano con una minaccia, ma terminano con una buona novella. A volte è il popolo che si converte. A volte è Dio che si commuove. Come fa anche il profeta quando prega che le proprie minacce non si realizzino. Quando Geremia annuncia l’esilio, lo fa sperando che non sia la sua parola a realizzarsi, ma piuttosto quella di Anania che annuncia la liberazione di Gerusalemme (Ger 28,6). Il Talmud dice che i profeti annunciano ciò che deve essere, ma che non deve necessariamente essere (Jebamot 50a).

Per questo il profeta non è infallibile. Nel libro di Ester il popolo ebraico in esilio è in pericolo. Il re Serse si toglie l’anello o lo consegna ad Aman perché sigilli il comando di sterminio (Est 3,10). Ma la regina Ester digiuna, gli ebrei fanno penitenza e il genocidio non avrà luogo. Il Talmud dice che l’atto di sfilare l’anello fu più efficace di 44 profeti e 7 profetesse. Infatti le loro predicazioni non condussero il popolo alla conversione come invece riuscì a fare l’anello di Serse (Megillah 14a).

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