Le parole (instasi)
Nel vangelo di Matteo trova posto questa tipica benedizione ebraica: “In quel tempo Gesù disse: Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). La “piccola” Teresa si professa ignorante perché non ha compiuto studi teologico-filosofici e non conosce bene il latino. L’interesse infantile, ereditato dalla madre, per i romanzi cavallereschi e le vite di santi testimonia della sua grande passione per la letteratura. Negli scritti di Teresa il linguaggio si mantiene semplice e colloquiale anche quando descrive esperienze straordinarie quali estasi e visioni mistiche (cf Rosa Rossi, Teresa d’Avila. Biografia di una scrittrice, Editori Riuniti, Roma 1993).
Teresa scrive in obbedienza ai suoi confessori che le chiedono accurate descrizioni di quanto sperimenta per stabilirne l’origine divina o demoniaca. Dalla scelta di rivolgersi alle consorelle, desiderose dei suoi insegnamenti, nascono così numerose opere. La Vita (1562-65), la sua autobiografia, è un capolavoro della mistica moderna (1588). Il Cammino di perfezione (1562-69) illustra la via della contemplazione per le novizie (1583). Le Costituzioni (1563) del nuovo ordine carmelitano delle Scalze vengono approvate da Pio IV. Le Meditazioni sul Cantico dei Cantici (1566-1567) utilizzano il linguaggio dell’erotismo (cf Teresa d’Avila, Meditazioni sul Cantico dei Cantici, Sellerio, Palermo 1991). Le Relazioni sono una difesa dalle accuse dell’Inquisizione. Il Libro delle fondazioni (1576-82) narra la storia dell’istituzione dei monasteri. Il Modo di visitare i conventi delle carmelitane scalze (1576) viene scritto per il visitatore dell’ordine Girolamo Gracian. Il Castello interiore (1577) costituisce il compendio dell’esperienza mistica di Teresa (cf Teresa d’Avila, Il castello interiore, Piemme, Casale M. 2002).
In quest’ultima opera l’anima è descritta come un Castello interiore che comprende sette stanze, mansioni o dimore (moradas), da attraversare per giungere all’unione con Dio. Chi vaga al di fuori del castello è destinato all’infelicità. Il primo passo dell’orazione mentale, l’inizio del rapporto con Dio, è la conoscenza di sé (cap. I). L’orazione si fa meditativa e l’opposizione del demonio costringe a una dura lotta interiore (cap. II). Lo zelo apostolico si alterna all’aridità interiore che rende illusorio il cammino compiuto (cap. III). Dopo l’ascesi (capp. I-III) il raccoglimento conduce all’orazione di quiete e l’esperienza mistica che inizia viene paragonata a una fonte interiore d’acqua viva (cap. IV). L’anima rinasce in Cristo come un bruco che, dentro al bozzolo di seta, muore per trasformarsi in farfalla (cap. V). Il fidanzamento dell’anima con Cristo accentua la sensibilità verso i propri peccati (cap. VI). La totale donazione di sé conduce infine al matrimonio in cui l’anima non desidera più la morte ma vuole vivere per servire più a lungo possibile il suo Signore (cap. VII).
Dall’anima innamorata di Teresa sgorga ex abundantia cordis (per abbondanza del cuore) anche la poesia (cf Teresa d’Avila, Felice il cuore innamorato, Mondadori, Milano 1997). Cristo vive in Teresa: “Vivo sin vivir en mi, / y tan alta vida espero, / que muero porque no muero” (Vivo, ma non vivo in me, / e attendo una tal vita, / che muoio perché non muoio). Dio solo le basta: “Nada te turbe, / nada te espunte, / todo se pasa, / Dios no se muda, / la paciencia / todo lo alcanza. / Quien a Dios tiene / nada le falta. / Sólo Dios basta” (Nulla ti turbi / nulla ti spaventi / tutto passa / Dio non cambia / tutto ottiene / la pazienza. / A chi Dio possiede / non manca nulla. / Solo Dio basta). L’opera di questa “penna d’oro” è stata classificata con espressioni quali “retorica dell’umiltà” per la Vita, “ironia” per il Cammino, “offuscamento” per il Castello e “autorità” per le Fondazioni (Alison Weber, Teresa d’Avila e la retorica della femminilità. Le Lettere, Firenze 1993). Nel Castello, ad esempio, le chiacchiere da donna, l’incompetenza, l’imprecisione nelle citazioni bibliche e l’improvvisazione nella struttura del testo, costituiscono una “tecnica dell’offuscamento” tesa a difendersi dall’Inquisizione. Un caso a sé sono il linguaggio erotico e l’interpretazione allegorica del Cantico dei cantici. Il linguaggio che parla di Dio come dello sposo e dell’anima (o della chiesa) come la sposa è funzionale al passaggio da Miles a Sponsa Christi (dall’immaginario militare a quello nuziale). La settima stanza, posta al centro dell’anima, è abitata da Dio stesso e Teresa cita l’apostolo Paolo: “Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente” (2 Cor 6,16). Il cammino di conoscenza di sé conduce alla rinuncia dei propri desideri: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,19). Le tre potenze dell’anima (intelletto, volontà e memoria) si unificano per aderire alla volontà di Dio. La teologia mistica di Teresa supera le vie affermativa e negativa su Dio in una iperbolica via eminantiae. Scrive Aristotele: “la preghiera è certo un discorso, ma né vero, né falso”. Nell’ultima delle sue Relazioni spirituali, scritta un anno prima di morire, Teresa scrive che l’anima e Dio “si godono in altissimo silenzio” (cf Elisabeth Reynaud, Teresa d’Avila. La donna che ha detto l’indicibile di Dio, Paoline, Cinisello B. 2001).
Nessun commento:
Posta un commento