martedì 8 giugno 2021

Teresa d'Avila (1/5)

 

La vicenda di Teresa si colloca al termine del Medioevo, un’epoca millenaria, dai confini incerti. Gli storici discutono se farla cominciare con il sacco di Roma (410 d.C.) o con l’ingresso dei Longobardi in Italia (568) e terminare con la caduta di Costantinopoli (1453) o con l’ascesa al trono di Carlo V in Spagna (1516). Anche il giudizio complessivo sull’epoca ha rimesso in discussione la contrapposizione tra il buio del Medioevo e la luce dell’Illuminismo. Certo nel Medioevo la spada è una costante antropologica e la vittoria in guerra è una “grazia” di Dio. Ogni uomo libero è armato e le istituzioni sono militarizzate. I vescovi spesso garantiscono anche il governo delle città e il soldato Ignazio di Loyola fonda la Compagnia di Gesù (gesuiti) come militia Christi. Nel frattempo i monasteri preservano e trasmettono la cultura.

Nel 1492, in nome della limpieza de sangre (purezza del sangue), i re cattolici Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia attuano una clamorosa espulsione degli ebrei. Dieci anni dopo i mori (turchi) musulmani incombono sulla penisola italica e alle porte di Vienna. Nel 1515 i re cattolici lasciano al nipote Carlo V un impero su cui “non tramonta mai il sole” per l’ampiezza dei suoi confini da oriente (la Germania) a occidente (le Americhe). Dentro l’impero sopravvivono moriscos (musulmani) e marranos (ebrei) convertiti al cristianesimo per salvarsi la vita e continuamente sospettati di eresia. Per i rabbini questi ebrei sono anusim (costretti) e la filosofia di Maimonide li giustifica; per gli spagnoli sono “maiali” (marranos). Nell’opera di purificazione dell’impero Carlo V si avvale della collaborazione dell’Inquisizione. A reggerla è il domenicano Tomas de Torquemada, nipote di un ebreo converso (convertito), nominato da papa Sisto IV (cf Cecil Roth, Storia dei marrani, Serra e Riva, Milano 1991). Per comprendere meglio il clima dell’epoca è utile sapere che nel 1516 viene coniata a Venezia la parola ghetto a indicare un quartiere in cui rinchiudere a forza gli ebrei e che nel 1571 la flotta cristiana infligge ai turchi la sconfitta di Lepanto.

L’esigenza di una riforma della Chiesa latina si avverte già nel XIII secolo con Francesco d’Assisi e Valdo di Lione (a cui si richiama l’odierna Chiesa valdese). La nascita dell’università favorisce il sorgere di figure innovatrici come John Wiclif a Oxford, Jan Hus a Praga, Gerolamo Savonarola a Firenze e Erasmo da Rotterdam. Nel 1517 il monaco agostiniano Martin Lutero affigge le note “95 tesi” a Wittenberg e ben presto sorgono altri riformatori come Zwingli a Zurigo e Calvino a Ginevra. La denuncia della salvezza come “meccanismo” e delle indulgenze in cambio di denaro sfociano nella nascita delle Chiese protestanti. Nel 1534 l’atto “di supremazia” di Enrico VIII re d’Inghilterra origina la Chiesa anglicana. Le Chiese della Riforma aboliscono le istituzioni - gerarchia, magistero, sacerdozio ministeriale, sacramenti, culto della Madonna e dei santi - e vengono tacciate di eresia.

La verginità nel Medioevo è una condizione fisica e insieme uno stato spirituale. Le imperatrici, poste sotto la protezione della Madre di Dio, sono considerate vergini. L’atto di dare alla luce la virga (stirpe) regale è assimilato al parto della Virgo (Vergine) Maria. Dai monaci cluniacensi la verginità come ricerca della condizione angelica viene presto estesa anche al clero. L’esercizio della sessualità femminile avviene all’interno del matrimonio e in vista della procreazione. La gravidanza è condizione “continuativa” che comincia in gioventù e prosegue per tutta l’età fertile. La morte di parto o per le conseguenze di molteplici gravidanze è frequente e non solo tra le contadine. Per una giovane donna del Medioevo come Teresa il convento garantisce, paradossalmente, una certa libertà e rappresenta un’alternativa alla sottomissione a un uomo nel matrimonio (Glauco Maria Cantarella, Medioevo. Un filo di parole. Garzanti, Milano 2002).

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