L’alterità nell’ebraismo
Il popolo d’Israele conosce l’alterità a partire dal suo rapporto con Dio. Il Dio della Bibbia è totalmente “altro” dal popolo d’Israele. Si manifesta così già nella sua unicità. Nella preghiera dello Shemah, che ogni ebreo pio prega più volte al giorno, si dice: “il Signore è il nostro Dio il Signore è uno (echàd)”, è unico, non c’è altri all’infuori di lui”. Il Dio della Bibbia è “altro” anche dal Dio dei filosofi. Già il filosofo medioevale Yehudàh ha-Lewi, nella sua opera Khàzari, mostra come il Dio che trae fuori dall’Egitto preceda il Creatore nella concezione ebraica. Il Dio d’Israele è un Dio personale che si appoggia a ciascuna persona in modo sempre nuovo e diverso. Quando Dio chiama Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Davide e altri ancora, spesso la risposta è “eccomi” (hinnènni). Nel midràsh Rabbi Joshuà’ ben Qarchàh afferma che “non vi è alcun luogo sulla terra in cui Dio non sia presente” (Esodo Rabbah 2,5). Eppure Dio è sempre al di là delle sue rivelazioni particolari: né Adamo di fronte a Eva, “carne della sua carne” (Genesi 2,23), né Mosè davanti al roveto ardente, “il Dio in esilio” (Esodo 3,14), né gli ebrei ancora oggi, osano pronunciare il nome JHWH, leggendo piuttosto “Signore” (Adonàj).
Il popolo di Israele conosce l’alterità come condizione della fede e del rapporto con gli altri popoli del mondo (le Genti). Israele è “il più piccolo di tutti i popoli” (Deuteronomio 7,7), proprietà particolare (segullàh) di Dio, amato secondo la promessa fatta ai padri. Dio sceglie Israele tra i settanta popoli del mondo, ma tale relazione non è esclusiva. La Bibbia narra sì lo sterminio (cherèm) dei sette popoli cananei (Deuteronomio 7,1-5) per far posto a Israele, ma quando questi passi sono stati scritti Israele era una “pecora errante” inseguita dai leoni (Geremia 50,17).
L’ebraico della Bibbia, una lingua di per sé piuttosto “povera”, conosce una grande ricchezza di termini per definire l’alterità: zar, nekàr (nokrì), gher. Zar è l’estraneo, sono gli altri popoli, anche i nemici, persino l’israelita laico di fronte ai sacerdoti. Nekar è il forestiero, o il diverso, anche il nemico. Gher è lo straniero residente, dal particolare statuto giuridico, in via di integrazione. Gli oltre centocinquantamila stranieri del censimento di Salomone (1 Cronache 2,16) erano probabilmente pari all’8/9% della popolazione. Una cifra non trascurabile. Lo straniero è spesso anche povero, come l’orfano e la vedova (Deuteronomio 10,18), come Israele nel deserto.
Lo stesso Israele è stato molte volte straniero (gher). Abramo fu gher in Ebròn (Genesi 23,4); Mosè lo fu in Màdian e chiamò suo figlio Ghersòn (Esodo 2,22); gli ebrei furono gherim in terra d’Egitto (Esodo 22,20). Nel regno d’Israele il gher stava all’ebreo come gli ebrei agli egiziani: la Bibbia prescrive alla maggioranza di non opprimere perché altrove o altrimenti potrà essere minoranza. Vale per il gher quanto vale per il prossimo (rea '): “ama il prossimo tuo come te stesso” è precetto ebraico (Levitico 19,18) che Gesù immette nell’evangelo. Gli ebrei sono ospiti (toshavìm) nel regno d’Israele: “mia è la terra - dice il Signore - e voi siete presso di me stranieri e ospiti” (Levitico 25,23). Lo ricordano al popolo ebraico la pratica dell’anno sabbatico e dell’anno giubilare e la spartizione della terra in epoca futura “fra voi e gli stranieri che abitano tra voi” (Ezechiele 47,21- 23). La moabita Rut (1,16), simbolo degli altri sessantanove popoli del mondo, giunge ad affermare “il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio”. Israele è in relazione con Dio, non lo possiede, e la sua primogenitura è partecipazione aperta alle altre genti. Questa è la missione particolare di Israele: essere “luce per le genti”.
L’ebraismo è plurale e dunque, in qualche modo, “straniero” a se stesso. L’ebreo è colui che attraversa (‘evèr), è sempre “altro” a se stesso e ai popoli tra cui vive, spesso incarna il “diverso” e subisce la persecuzione degli “uguali”. Nel Talmùd vige il principio di una “altra interpretazione” (davar achèr) per spiegare in modo plurale la Scrittura. Questo principio introduce nel seno di Israele l’alterità. Dio solo è echàd (uno): gli esseri umani non possono che essere achèr (altri). Per questo, secondo una nota battuta di spirito, “dove ci sono due ebrei ci sono almeno tre opinioni”.
Ascoltare la voce di Dio
La conclusione di questa descrizione della fede degli ebrei come un insieme di “movimenti” tra Dio e Israele - grido, insegnamento, prassi, benedizione e lode - è affidata a un’altra pagina del Talmùd. Una presentazione dell’ebraismo non sarebbe completa senza una parola sul mashìach o “unto di Dio” che i cristiani ritengono sia Gesù che appunto definiscono “il Cristo”. Non è un caso che del Messia qui si parli solo in conclusione e con una parabola. La fede ebraica non è incentrata sul Messia e poche sono le certezze (chi? quando? come?) e molte le ipotesi sulla sua venuta. In ogni caso per gli ebrei il Messia non è ancora venuto nel mondo perché ancora oggi l’umanità è soggetta ai male e alla morte e l’intero creato “soffre e geme” - scrive l’ebreo Paolo di Tarso in una sua lettera - nell’attesa del compimento del piano di Dio. In questo compimento l’umanità intera, e Israele in modo particolare, hanno un compito preciso e prezioso: ascoltare la parola di Dio: “Un giorno rabbi Joshua ben Levi interrogò il profeta Elia: ‘Quando verrà il Messia?’. Elia rispose: ‘Va’ a chiederglielo’. Rabbi Joshua disse: ‘Ma dov’è?’. Elia rispose: ‘Alla porta di Roma’. ‘E come lo riconoscerò?’. ‘Siede fra i lebbrosi mendicanti. Ma mentre questi si tolgono e si rimettono le bende tutte in una volta, il Messia si toglie le bende a una a una e se le rimette una alla volta. Egli pensa che Dio lo può chiamare in ogni momento a portare la redenzione e si tiene sempre pronto’. Rabbi Joshua andò da lui e lo salutò: ‘Pace a te, maestro!’. ‘Pace a te, figlio di Levi!’. ‘Quando verrai, maestro?’. ‘Oggi’. Più tardi rabbi Joshua ben Levi si lamentò con Elia: ‘Il Messia mi ha mentito. Ha detto che sarebbe venuto oggi, e non è venuto’. Ma Elia disse: ‘Non l’hai capito bene. Egli ti ha citato il Salmo 95,7: Oggi, se ascolterete la Sua voce!’ (Sanhedrin 98a).
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