giovedì 20 maggio 2021

Israele e gli altri sessantanove (2/3)

 

Ebrei, figli d’Israele e giudei

Nella lingua italiana c’è una pluralità di termini inerenti i discendenti di Abramo: ebrei, da cui “ebraismo” come cultura e religione ed “ebraico” come lingua; figli d’Israele, da cui gli antichi “israeliti” della Bibbia o i moderni “israeliani” cittadini dello stato ebraico; giudei, da cui “giudaismo” nel senso di ebraismo postbiblico. Nella Torah il primo ivrì o “ebreo” è Abramo (Genesi 14,13). L’origine del termine è incerta e riconducibile o alla discendenza da 'Ever (Genesi 11,14-17) o al verbo ‘avar che significa “passare di là” o “attraversare” come fece Abramo dalla Mesopotamia alla terra promessa. Il termine “ebreo” può essere usato indifferentemente dal tempo di Abramo a oggi sia per gli ebrei cittadini dello stato d’Israele sia per gli ebrei di Roma o Milano. Solitamente nella Bibbia cattolica si traduce con “israeliti” il termine bené Israèl o “figli d’Israele”. Il libro della Genesi racconta che Giacobbe, durante un guado del torrente Jabbòq, incappò di notte in un essere divino e lottò con lui fino all’alba (Genesi 32, 23-33). Ne riportò una lesione, che lo rese zoppo, e una benedizione che gli mutò il nome in Israèl: secondo l’etimologia più probabile Israele deriva infatti dal verbo sharàr (lottare) con El (Dio). Il njpote di Abramo diverrà padre di dodici figli capostipiti delle dodici tribù che formeranno il popolo d’Israele. Il nome Israele, prima di indicare una realtà politica antica, come il regno d’Israele ai tempi di Davide e Salomone, e moderna, come lo stato d’Israele, indica una discendenza che da Giacobbe giunge fino a noi.

Il termine jehudì o “giudeo” deriva da uno dei figli di Giacobbe chiamato Giuda (Genesi 29,31-30,24). La tribù di Giuda si insediò nel sud della terra promessa (Giosuè 13-19) e fu l’unica a tornarvi dalla deportazione in Babilonia (586-539 a.C.). Dopo l’esilio tuttavia il cuore dell'ebraismo divenuto giudaismo non fu più il Tempio ma lo studio della Scrittura e la recita di preghiere e salmi in numerosi luoghi di culto chiamati dal greco “sinagoghe”. A tutto ciò è evidentemente estraneo Giuda, l’apostolo che tradì Gesù, e del tutto infondata è la definizione antigiudaica che i cristiani del medioevo diedero dei giudei come di un popolo di infidi traditori.

 

Il patto tra Dio e Israele

Si diceva che la fede degli ebrei può essere descritta come un insieme di “movimenti” tra i due contraenti il patto: Dio e Israele.

Dopo il grido che sale a Dio dalla schiavitù d’Israele e il conseguente dono di Dio agli ebrei della Torah sul monte Sinai, la risposta è contenuta in un versetto del libro dell’Esodo: na‘asé ve-nishmà ovvero “faremo e ascolteremo” (Esodo 24,7). Spesso le Bibbie cristiane traducono superficialmente con due sinonimi: “faremo ed eseguiremo”. La tradizione rabbinica esalta invece l’espressione paradossale di un “fare” che precede l’ascolto. Tale è lo zelo degli ebrei di mettere in pratica la parola di Dio che ciò avviene prima ancora di ascoltarla. Oppure ancora è nel fare, ovvero in quella che nella lectio divina cristiana è l’actio, che si ascolta in modo efficace la parola. Così la tradizione ebraica ha tratto dalla Scrittura seicentotredici mitzvòt o “precetti” che puntualmente informano di sé ogni istante della giornata dell’ebreo. Una vera e propria spiritualità materiale e feriale che consente all’ebreo osservante di incarnare la Torah.

Un esempio del processo di codificazione dei precetti da parte della tradizione lo offre il Talmùd: “Così come Egli veste gli ignudi - poiché sta scritto (Genesi 3,21): ‘Il Signore Dio fece ad Adamo e alla sua donna tuniche di pelli e li vestì’ - vesti anche tu gli ignudi. Il Santo, benedetto sia, visitava gli ammalati, poiché sta scritto (Genesi 18,1) dopo la circoncisione di Abramo: ‘E il Signore gli apparve alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda’. Così anche tu devi visitare gli ammalati. Il Santo, benedetto sia, consolava i sofferenti, poiché sta scritto (Genesi 25,11): ‘E, dopo la morte di Abramo, Dio benedisse Isacco suo figlio’. Così consola anche tu i sofferenti. Il Santo, benedetto sia, ha seppellito i morti, poiché dopo la morte di Mosè si legge (Deuteronomio 34,6): ‘Ed Egli lo seppellì nella valle, nella terra di Moab’. Così anche tu dà sepoltura ai morti” (Sotàh 14a).

Ancora un movimento: se Israele osserva la Torah ecco che Dio invia sul popolo le berakhòt o benedizioni promesse nel contratto sottoscritto al momento dell’alleanza. Qui l’accento non cade sul singolo ma sull’intero popolo: il singolo, pur riconosciuto giusto da Dio come accade a Noè, subisce le conseguenze del comportamento dell’intero popolo cui appartiene. Nelle storie dei patriarchi l’alleanza ripetuta e rinnovata prevede una triplice benedizione divina: eretz o la “terra (della) promessa”, da cui stillano latte e miele; zarà ' o la “discendenza”, quei figli che sono l’unica vita oltre la vita per i patriarchi; iovàh o la “prosperità”, i frutti del suolo che per essere tali hanno bisogno del sole e della pioggia a suo tempo ovvero della benedizione di Dio.

Quando Dio si fa presente al mondo con le sue benedizioni ecco sgorgare spontanea sulle labbra degli ebrei la lode, ovvero la preghiera di ringraziamento. Significativo a questo proposito è l’intero libro dei Salmi o tehillìm come raccolta di preghiera del popolo d’Israele, a tal punto significativa da divenire parola di Dio ed essere compresa nelle Scritture. Anche la tradizione cristiana conosce la lode e trae una delle invocazioni più utilizzate anche nella liturgia proprio dalla radice ebraica dei salmi: halelu-jàh significa infatti “lodate Dio”. Così come il “Padre nostro” è un breviario dell’intero evangelo, si può dire che il libro dei Salmi è un breviario dell’intera Bibbia ebraica.

Un esempio di lode biblica - non tutte le centocinquanta preghiere contenute nel libro dei Salmi infatti sono lodi - è il Salmo 65 (64): “A te si deve lode, o Dio, in Sion; a te si sciolga il voto in Gerusalemme. A te, che ascolti la preghiera, viene ogni mortale. Pesano su di noi le nostre colpe, ma tu perdoni i nostri peccati. Beato chi hai scelto e chiamato vicino, abiterà nei tuoi atrii. Ci sazieremo dei beni della tua casa, della santità del tuo tempio. Con i prodigi della tua giustizia, tu ci rispondi, o Dio, nostra salvezza, speranza dei confini della terra e dei mari lontani. Tu rendi saldi i monti con la tua forza, cinto di potenza. Tu fai tacere il fragore del mare, il fragore dei suoi flutti, tu plachi il tumulto dei popoli. Gli abitanti degli estremi confini stupiscono davanti ai tuoi prodigi: di gioia fai gridare la terra, le soglie dell’oriente e dell'occidente. Tu visiti la terra e la disseti: la ricolmi delle sue ricchezze. Il fiume di Dio è gonfio di acque; tu fai crescere il frumento per gli uomini. Così prepari la terra: ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle, la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli. Coroni l'anno con i tuoi benefici, al tuo passaggio stilla l'abbondanza. Stillano i pascoli del deserto e le colline si cingono di esultanza. I prati si coprono di greggi, le valli si ammantano di grano; tutto canta e grida di gioia”.

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