L’ebraismo è una realtà complessa, inesauribile in uno scritto, e sono molti i modi in cui se ne può tentare un approccio.
Un primo modo è quello di raccontare la storia del popolo ebraico, dai patriarchi a oggi, passando attraverso Abramo (1900 a.C.), Mosè e l’uscita dall’Egitto (1300), il re Davide e l’apoteosi del regno d’Israele (1000), l’esilio in Babilonia (587), il ritorno nella terra sotto Ciro re di Persia (538), la vicenda di Gesù di Nazaret (a partire dal 6/7 a.C.), la distruzione del Tempio (70 d.C.) e della città di Gerusalemme (135), la redazione della Mishnà, ovvero la prima messa per iscritto della tradizione rabbinica (200) e così via fino alla cacciata degli ebrei dalla Spagna (1492), lo sterminio degli ebrei d’Europa (1938) e la nascita dello stato d’Israele (1948).
Un secondo modo per introdurre all’ebraismo, in particolare alla fede del popolo d’Israele, è quello di percorrere l’anno liturgico a partire dalle tre feste di pellegrinaggio a Gerusalemme, prescritte già all’epoca di Gesù: Pésach ovvero la Pasqua, che ricorda l’uscita dalla schiavitù d’Egitto (aprile); Shavuòt o Pentecoste, con il dono della Torà (la Bibbia) sul monte Sinai (maggio); Succòt o “festa delle capanne”, in ricordo dei quarant’anni passati nel deserto (ottobre). A queste occorre aggiungere: i giorni di penitenza, che vanno da Rosh ha-Shanà, il capodanno ebraico, a Kippur, il giorno dell’espiazione dei peccati (ottobre); le feste come Chanukkà, “festa delle luci” corrispondente al Natale (dicembre), e Purìm, “festa delle sorti” o carnevale ebraico (marzo); infine i digiuni come il 9 (del mese) di Av, in cui ricorre la distruzione del tempio di Gerusalemme (agosto), e Yom ha-Shoà, memoria dello sterminio (gennaio).
Un terzo modo per avvicinare l’ebraismo è illustrare il ciclo vitale di uomini e donne ebrei che, dai tempi di Gesù, è giunto pressoché immutato ai nostri giorni. Si possono descrivere la Milàh o circoncisione di tutti i figli maschi (otto giorni dopo la nascita), il Pidjòn o riscatto del primogenito tramite un’offerta al tempio (dopo quaranta giorni), il Bat Mizvà delle femmine (a dodici anni) e il Bar Mìzvà dei maschi (a tredici) corrispondenti alla maturità religiosa, il Kiddushìn o matrimonio e l’Avelùt o rito funebre.
Qui di seguito la scelta è caduta su un quarto modo.
La fede degli ebrei
Il termine ebraico che identifica la fede di Israele è ‘emunà che significa “poggiare su qualcosa di solido”. Ai cristiani viene in mente la casa sulla roccia della parabola di Gesù: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande” (Matteo 7,21-26).
Dal termine ‘emunà deriva una parola che i cristiani usano spesso nella liturgia e nella preghiera: àmen ovvero “così sia” o “sia fatta la tua volontà”.
La fede ebraica si fonda sul concetto di berìt o “patto” nel senso di un’alleanza stipulata tra Adonàj, cioè Dio come si è rivelato a Mosè nel roveto ardente, e Israel, ovvero gli ebrei come popolo discendente da Israele, nipote di Abramo. Questa sorta di “contratto”, sorto per iniziativa divina, pone i due contraenti, cioè Dio e il popolo ebraico, pressoché sullo stesso piano e si fonda sull’osservanza delle parole di Dio da parte del popolo a cui corrisponde il compimento delle promesse fatte al popolo da Dio. Nella Bibbia cristiana, come del resto in quella ebraica, si trovano più alleanze universali, stipulate da Dio con l’umanità, e diverse alleanze particolari, siglate dallo stesso Dio con Israele. Del primo genere sono quelle con Noè e Gesù; del secondo quelle con Abramo, Isacco e Giacobbe, Mosè e Geremia, che conosce già una “nuova alleanza” per Israele.
La fede degli ebrei può essere descritta come un insieme di “movimenti” che vanno da un contraente del patto all’altro e si susseguono come il richiamo tra una madre e il suo cucciolo.
Il primo movimento è invero universale e precede la schiavitù degli ebrei in Egitto, dove è tematizzato in modo esemplare, per giungere fino ai giorni nostri: si tratta dello tza’àq o “grido” che sale dalla sofferenza e dal dolore fino agli orecchi di Dio (Esodo 2,23-24; 3,9). Anche Gesù, prima di morire in croce, eleva un forte grido a Dio (Marco 15,37). Questo grido ha il suo corrispondente nella liturgia cristiana nell’invocazione osanna che accompagna l’ingresso di Gesù a Gerusalemme (Matteo 21,1-11; Marco 11,1-11; Giovanni 12,12-19). Questa invocazione deriva dell’ebraico hoshi’ànà che suona come un’esortazione nei confronti di Dio: “orsù salva(ci)”.
Se il grido va da Israele e più in generale dall’umanità a Dio, il secondo movimento avviene in direzione opposta: Dio dona a Israele, e tramite Gesù all’intera umanità, la sua parola contenuta nelle Scritture. In ebraico la Bibvia è Torah ovvero “insegnamento”, e non “legge” come erroneamente deriva dalla traduzione in greco, perché è un insieme di parole che guidano sulla retta via. La Torah è particolare perché viene affidata a Israele affinché la metta in pratica. Per farlo gli ebrei devono dedicarsi assiduamente al talmùd, cioè allo studio della Torah che occupa un posto preminente rispetto alla preghiera nella vita del fedele ebreo. La Torah è intesa nell’ebraismo come l’insieme della Bibbia (Torah scritta) e della Tradizione (Torah orale) e il Talmùd oggi è un’enciclopedia che raccoglie tutte le discussioni rabbiniche sulla Torah codificate a partire dalla mishnàh.
Se per gli ebrei la Torah è parola di Dio da rendere carne attraverso l’osservanza dei precetti, per i cristiani il corrispondente della Torah è Gesù Cristo, ovvero il Verbo di Dio che si è fatto carne: i cristiani sono quindi tenuti non all’osservanza dei predetti ebraici, ma piuttosto alla sequela di Gesù figlio di Dio. Contemporanei di Gesù furono due maestri ebrei noti l’uno per la sua durezza e l’altro per la dolcezza: Shammaj e Hillel. Il Talmud narra che un pagano si rivolse a loro con una pretesa che anche Gesù sentì spesso avanzare (Matteo 22,34-40; Marco 12,28-34; Luca 10,25-28) ovvero fare una sintesi della Torah: “Narra il Talmùd che una volta un pagano andò da Shammaj e gli disse: ‘Mi converto al giudaismo a condizione che tu mi insegni tutta la Torah mentre io sto su un piede solo’. Con un bastone in mano Shammaj lo cacciò subito. Il pagano andò da Hillel e di nuovo espresse il suo desiderio: ‘Mi converto al giudaismo a condizione che tu mi insegni tutta la Torah mentre io sto su un piede solo’. Hillel lo accolse nel giudaismo e lo istruì in questo modo: ‘Quello che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri. Questa è tutta la Torah. Il resto è commento. Va’ e studia!’” (Shabbàt 31a). /
Alla “regola d’oro” espressa in tutte le religioni e fatta propria anche da Gesù (Matteo 7,12; Luca 6,31) Hillel aggiunge lo studio come il comandamento più grande.
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