martedì 18 maggio 2021

Elisaveta Pilenko tra Oriente e Occidente (3/3)


 

Un respiro universale

Marija è “figlia” della “madre Russia” e madre che vede morire due figlie. Il suo amore viscerale si riversa su una terra tanto sublime quanto tormentata e su dei figli tanto amati quanto fragili. Così Marija si ritrova a vivere la condizione di “madre di tutti”, dei “figli” della “madre Russia” prima, e degli ebrei poi. Questa universalità di Marija è espressione della sua fede ortodossa. Sòbornost è la parola russa che indica universalità. Nel Simbolo i fedeli ortodossi recitano: “credo la chiesa una santa, sobornaja e apostolica”. La Chiesa è il corpo di Cristo e in Cristo è già una e universale. Tuttavia, proprio come le membra del corpo, anche la Chiesa non è uniforme. Per questo la cattolicità della Chiesa è un mistero (cf Adolfo Asnaghi, Le porte belle. Viaggio interiore nell’ortodossia, Servitium, Bergamo 1991).

Un aspetto di questo mistero è la conciliarità. Un altro aspetto fondamentale è la vocazione dell’essere umano alla comunione con tutto il mondo. Questo secondo aspetto caratterizza fortemente Marija quando scrive: “Il mio sentimento per tutti è materno”. “Per tutti”, commenta il teologo ortodosso Olivier Clément, “gli scaricatori del porto di Marsiglia, i lavoratori delle miniere di ferro dei Pirenei, i folli, i drogati e gli alcolizzati che andava a consolare la notte nelle baracche, che portò con sé per cullarli come dei bimbi. Tutti: gli ebrei perseguitati, marchiati dalla stella gialla, e le sue compagne di Ravensbruck. A san Giovanni Cassiano che si affretta, gli occhi piamente chiusi, all’incontro con il Signore, Marija preferisce, con il popolo russo, san Nicola che disimpantana - secondo la leggenda - il carretto di un paesano a rischio di mancare il suo incontro con Dio. Perché Dio era nel carrettiere” (Olivier Clément, Préface, in Mère Marie Skobtsov, Le sacrement dufrère, Cerf - Le Sei de la Terre, Paris 2001).

Nella teologia ortodossa è centrale l'idea di divinoumanità (dal greco thèosis). L’essere umano, creato a immagine di Dio, contiene in sé un germe divino. Lo Spirito Santo lo rende partecipe dell’umanità glorificata del Cristo. Ciò avviene particolarmente nell’eucaristia e nei misteri della chiesa. C’è tuttavia un metodo ascetico che consente di fare esperienza della comunione personale con Dio. È l’esicasmo, dal greco hesychìa, che significa silenzio e pace. Il fedele ortodosso ripete al ritmo del respiro le parole: “Signore Gesù Cristo / Figlio di Dio / abbi pietà di me / peccatore”. Gli operai tessili russi reiteravano questa preghiera assecondando l’assordante frastuono dei telai meccanici nell’epoca della rivoluzione industriale. Nulla di più semplice che immaginare Marija immersa nella preghiera del cuore mentre pratica l’arte del ricamo di motivi biblici e religiosi (cf Irina Jazykova, I ricami di madre Marija, in “Io faccio nuova ogni cosa”. L’icona nel XX secolo, La casa di Matriona, Bergamo 2002).

Marija è sempre in cerca di un cristianesimo pubblico e fedele alla storia: “Un cristianesimo sociale autentico non deve solo avere una forma cristiana, ma deve essere effettivamente cristiano. Per questo, ha bisogno di un’altra dimensione, di un fondamento mistico capace di strapparlo alla spiritualità piatta e al moralismo a due dimensioni, di condurlo nelle profondità di una spiritualità multidimensionale” (cf Nina Kauchtschischwili, op.cit.). Cosmòs è una parola greca che indica il mondo come creazione di Dio. Asservito alla corruzione e alla morte, a causa della caduta, il creato è tuttavia penetrato dalla gloria di Dio e trasfigurato segretamente da Cristo. Nella spiritualità ortodossa non c’è posto per la disperazione. La bontà della creazione, seppur momentaneamente nascosta, non è perduta perché redenta in Cristo. Il monachesimo di Marija è fedele alla tradizione nella misura in cui, nel nuovo contesto storico, sa innovare la mistica del rapporto con Dio per mezzo della mistica delle relazioni. Allorché il metropolita Evloghi riceve la sua professione monastica, le indica come luogo della sua ascesi “il deserto dei cuori umani”, perché ha colto il suo senso acuto - quasi anarchico - della libertà dello Spirito Santo (cf Andrea Riccardi, Marija, monaca dallo zar al lager, in Avvenire, giovedì 27 giugno 2002).


Per un monachesimo interiore

La vocazione e l’esperienza di Marija sono strettamente personali e assolutamente particolari. La provocazione che lanciano è tuttavia universale: “Accogliete fra le vostre mura ogni sorta di ladri e di diseredati, lasciate che il turbine della vita esterna frantumi lo splendido ordine della vostra regola, umiliatevi, perché per quanto possiate arrivare a svuotarvi, non ci sarà mai paragone con la kènosis di Cristo... E non bisogna credere che quanto ho detto si riferisca esclusivamente ai monaci... Sono convinta che questa idea si imponga a tutto il mondo contemporaneo” (cf Nina Kauchtschischwili, op. cit).

Le esigenze e i valori della vita monastica (povertà, castità, obbedienza), liberati dalle loro forme concrete, diventano impegno di ogni cristiano che vive nel mondo ad essere segno del totalmente altro (cf Adalberto Piovano, Il ruolo dell’uomo di Dio nella tradizione spirituale russa, in Romano Cecolin, Sacerdozio e mediazioni, Messaggero, Padova 1991). Mat’ Marija viene ricordata anche come la monaca con il sigaro in bocca che gira per le strade di Parigi alla ricerca degli ultimi. Il folle in Cristo (jurodìvij) Ivan Grigor’evic Bosij afferma che “Adamo viveva nel paradiso, ma peccò, mentre Lot poté trovar salvezza anche in Sodoma”.

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