lunedì 17 maggio 2021

Elisaveta Pilenko tra Oriente e Occidente (2/3)


 

Una luce nelle tenebre

“C’è un’immagine particolarmente vicina alla coscienza ortodossa”, scrive mat’ Marija ne Il secondo comandamento del vangelo. “E’ l’immagine della madre ai piedi della croce del Figlio crocifisso, l’immagine di colei a cui fu detto: e anche a te una spada trafiggerà l’anima (Luca 2,35). Questa immagine è il grande simbolo di ogni autentica comunione umana - nel crocifisso Maria vedeva Dio e il Figlio -, e così ci insegna a vedere anche in ogni nostro fratello nella carne il Figlio dell’uomo, e cioè Dio - l’immagine di Dio - e un figlio che il nostro amore possa adottare, per partecipare al suo dolore, condividerne le pene, assumerne i peccati e le cadute. La Madre di Dio è tuttora trafitta dalla croce di suo Figlio, che diventa per lei una spada a doppio taglio, e dalle spade delle nostre croci, delle croci di tutta l’umanità divinizzata (la divinoumanità). Contemplando la sua intercessione sul mondo per tutti i peccati e le miserie umane, anche in lei scorgiamo il cammino sicuro e vero che ci ordina di accogliere nel nostro cuore le croci dei nostri fratelli, di lasciarci trafiggere da loro come da una spada che ci trapassa l’anima. In questo modo, l’insegnamento del Figlio di Dio lasciato all’umanità, ripetuto molte volte nel vangelo, sigillato dall’intera sua vita terrena, coincide con l’insegnamento della Madre di Dio, come è rivelato dal giorno dell’annunciazione al momento terribile del suo stare presso la croce, e per tutti i secoli di storia della chiesa. Qui non ci sono dubbi, il cammino è chiaro e puro” (in Nina Kauchtschischwili, Mat ’ Marija. Il cammino di una monaca, Qiqajon, Bose 1997).

Mat’ Marija ha fatto della sua vita un’imitazione della Madre di Dio, accogliendo nel suo cuore le croci degli uomini, lasciandosi trafiggere come da una spada che trapassa l’anima Percorrendo questo cammino si è spinta più volte al confine con la morte. Giunta davanti alla sua croce, non l’ha respinta, nella piena consapevolezza della risurrezione. In una sua poesia aveva scritto: “Ma le tenebre non sono né morte, né vuoto, in esse si disegna la croce. Mia fine, mia fine consumata”. Così facendo Marija ha profeticamente indicato una luce nelle tenebre. Nello scorso mese di marzo il Service oecumenique de presse, dava così la notizia della canonizzazione: “Il Santo Sinodo del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, durante la sessione del 16 gennaio 2004, ha canonizzato padre Dimitri Klépinin (1904-1944), madre Maria (Skobcova) (1891-1945) e i loro compagni, Jurij Skobcov (1921-1944) e Elia Fondaminsky (1880-1942), personalità che hanno segnato la storia spirituale dell’emigrazione russa in Francia... E’ la prima volta che il Patriarcato ecumenico (che ha giurisdizione sulle parrocchie di tradizione russa all’estero) canonizza delle persone che hanno vissuto una parte della loro vita in Europa occidentale. Il patriarca ecumenico Bartolomeo I ha chiesto a tutti i metropoliti... di fare memoria di questi nuovi santi. La loro commemorazione liturgica è stata fissata al 20 luglio, festa del profeta Elia”.

Un’anima russa

Mat’ Marija è anzitutto una poetessa. L’antica letteratura russa ebbe un carattere prevalentemente religioso. Solo con Pietro il Grande l’influenza dell’Occidente ha aperto le porte a classicismo, romanticismo e realismo. Il fondatore della letteratura russa moderna è Puskin. Gogol’ e Cechov gli sono debitori. La letteratura religiosa riemerge come un fiume carsico nella seconda metà dell’Ottocento nelle opere di scrittori come Dostoèvskij, Lèskov e Tolstoj (periodo d’oro). Tale eredità verrà ripresa dal poeta e filosofo sistematico Solov’ev che ispirerà la corrente neoromantica simbolista (periodo d’argento). Una certa apertura distingue il simbolismo dallo slavofilismo che rifiuta ogni influsso dell’Occidente logico e razionalista (cf Ettore Lo Gatto, Correnti e tendenze della letteratura russa dalle origini a oggi, Rizzoli, Milano 1974).

Voce di spicco del simbolismo è il poeta Alexander Blok che fu grande amico della poetessa Elisaveta Pilenko (citata nei manuali anche come Kuzmi’na Karavaeva e Elisabeta Skobcova o Skobtsova). L’opera prima di Elisaveta (Schegge scite) echeggia un’opera di Blok (Gli sciti). Gli sciti furono una delle prime popolazioni che si insediò in Russia. In seguito lo scitismo è stato un messianismo mistico e rivoluzionario. L’alveo è quello della tradizione romantica che nel 1825 portò i poeti decabristi a una rivolta fallita contro lo zar. In una sua opera Blok fa del Cristo il simbolo della rivoluzione alla testa di dodici apostoli nelle vesti di guardie rosse. Ben presto la voce di Elisaveta confluisce nella letteratura russa dell’emigrazione, che diverrà aperta dissidenza in Pasternak o Bulgakov. La poesia di Elisaveta conserva tratti più spirituali che artistici (cf Ettore Lo Gatto, La letteratura russo sovietica. Sansoni, Milano 1968). Elisaveta attinge infine all’antica tradizione religiosa dell’anima russa.

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