La parola di Dio
Nella famiglia di Edith lo studio della Bibbia ebraica (la Torà) è superficiale e riservato ai maschi; “All’età di 12 anni mia madre dovette lasciare la scuola per aiutare in casa; continuò comunque a prendere lezioni private di francese e tedesco. I figli maschi frequentarono tutti il liceo e furono mandati a studiare fuori, a Breslavia... A scuola i ragazzi studiarono religione sotto la guida di un professore ebreo; impararono anche un po’ di ebraico, ma non abbastanza da essere poi in grado di tradurre e saper pregare con cognizione. Appresero i comandamenti, lessero brani tratti dalle Scritture e impararono a memoria alcuni salmi (in tedesco) ... Fu sempre insegnato loro il rispetto nei confronti di qualsiasi religione e di non parlarne mai male” (Storia...). Anche la partecipazione ai riti in sinagoga non è molto sentita: “Il sabato talvolta ci conducevano alla sinagoga... (Nostra zia Milka) era l’unica ad aver conservato la fede dei genitori e si curava di conservare la tradizione, mentre per gli altri il rapporto con l’ebraismo era svincolato da fondamenti religiosi” (Storia...). Il ritrovamento di un libro ebraico di preghiera scuote la coscienza cristiana di Edith: “Vorrei ancora ringraziare Frieda per la Hanna. Vi sono legati tanti ricordi! Da bambina avevo l’onore di andare a prenderlo per portarlo alla mamma... L’ho riaperto a quella pagina e vi ho ritrovato la fede di un tempo, che è a noi tanto connaturale e che costituisce oggi il mio sostegno. Il giudaismo ha in sé questa fede, solo che nella maggior parte non è più viva” (La scelta...).
In gioventù Edith aveva letto il Nuovo Testamento: “Il Diatéssaron (fusione armonica dei Vangeli) di Taziano e poco più tardi la traduzione della Bibbia di Ulfila furono il primo approccio con il Vangelo (a prescindere da frammenti che avevo imparato a conoscere durante le funzioni religiose scolastiche). Nel nostro libro di lettura, il testo originale greco stava sotto quello gotico. Tuttavia, in quella occasione non ne fui commossa dal punto di vista religioso” (Storia...). L’ebraicità di Gesù diverrà fondamentale per la sua vita: “Sappiamo dai racconti evangelici che Cristo ha pregato come pregava un ebreo credente e osservante della Legge. Il giudaismo aveva ed ha una sua ricca liturgia per il culto pubblico e per il culto domestico, per le grandi feste e per la vita quotidiana. Come faceva da bambino con i suoi genitori, così anche in seguito egli è andato in pellegrinaggio a Gerusalemme con i suoi discepoli nei tempi prescritti, per concelebrare le grandi feste del tempio. Di certo ha cantato con i suoi, con santo entusiasmo, gli inni di giubilo in cui prorompeva la gioia dei pellegrini giunti alla meta: Quale gioia, quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore (Salmo 11,1). Che Gesù abbia recitato le antiche preghiere di benedizione - sul pane, sui vino e sui frutti del campo: Sia lode al re, Eterno, nostro Dio, Re del mondo, che fai spuntare il pane dalla terra... che creasti il frutto della vite -, ci viene testimoniato dal racconto della sua ultima permanenza in compagnia dei discepoli, che fu dedicata all’adempimento di uno dei doveri religiosi più santi, cioè alla solenne cena pasquale, alla commemorazione della salvezza dalla schiavitù d’Egitto” (La preghiera della Chiesa, Morcelliana, Brescia 1987).
La parola di Dio afferra Edith: “Per noi la Sacra Scrittura è parola di Dio, perché con essa Dio si avvicina a noi, si fa conoscere, avanza le sue esigenze... Questo venir afferrati dalla Parola nella dimensione della fede - san Tommaso lo chiama l’inizio della vita eterna in noi - fa sì che noi riconosciamo Dio” (La “teologia simbolica" dell’Areopagita e i suoi presupposti nella realtà, EDB, Bologna 2003). Giocando con gli accenti ci si può chiedere se la parola di Dio viene tràdita (trasmessa) o tradìta (falsata) da questa ebrea fattasi cristiana. Edith non conosce l’ebraico e prega i salmi in tedesco. Con ogni probabilità la forma di ebraismo liberale degli ebrei assimilati in Germania non risponde alla sua esigenza di radicalità. Da monaca Edith legge la Bibbia cristiana alla luce di quella ebraica. Diviene così esemplare per una relazione che precede quella tra cristiani ed ebrei: la relazione tra Antico e Nuovo Testamento nella Bibbia cristiana.
La verità
A un tratto Edith trova la verità: “E’ merito storico delle Ricerche Logiche di Husserl... di aver elaborato l’idea della verità assoluta, e della conoscenza oggettiva ad essa corrispondente, in tutta la sua purezza, e di aver regolato fino in fondo i conti con tutti i relativismi della filosofia moderna, con il naturalismo, con lo psicologismo e con lo storicismo. Lo spirito trova la verità, non la produce. Ed essa è eterna. Se la natura umana, se l’organismo psichico, se lo spirito del tempo si trasformano, allora anche le opinioni degli uomini si trasformano, ma la verità non cambia” (cf La ricerca della verità, dalla fenomenologia alla filosofìa cristiana, Città nuova, Roma 1993). Una condizione fondamentale per l’intuizione della verità è l’assenza di pregiudizi: “Ci veniva continuamente raccomandato di considerare ogni cosa con occhio libero da pregiudizi, di gettare via qualsiasi tipo di paraocchi. I limiti dei pregiudizi razionalistici, nei quali ero cresciuta senza saperlo, caddero, e il mondo della fede comparve improvvisamente dinanzi a me. Persone con le quali avevo rapporti quotidiani e alle quali guardavo con ammirazione, vivevano in quel mondo. Doveva perciò valere la pena almeno di riflettervi seriamente” (Storia...).
La fede è per Edith una mistica luce oscura: “Noi accogliamo la fede sulla testimonianza di Dio e conseguiamo in tal modo conoscenze che non posseggono evidenza intellettiva... L’oscurità della fede, contrapposta all’eterna luce a cui essa tende, viene trattata dal nostro padre san Giovanni della Croce: il progresso dell’intelletto consiste nello stabilirsi maggiormente nella fede, vale a dire nel mettersi sempre di più all’oscuro, giacché la fede è tenebre per l’intelletto” (Essere...). La fede è la condizione di chi viene afferrato dalla verità: “Accogliere la verità di fede significa accogliere Dio, poiché è Lui il vero e proprio oggetto della fede di cui trattano le verità di fede. Ma accogliere ciò significa anche volgersi a Lui nella fede, cioè credere in Deum, tendere a Lui. In tal modo credere equivale ad un afferrare Dio; ma l’afferrare presuppone un venire afferrati: non potremmo credere infatti senza la Grazia. E la Grazia è la partecipazione alla vita divina: quando ci apriamo alla Grazia, accettiamo la fede, e così abbiamo l’inizio della vita divina in noi” (Essere...).
La verità esiste, dà senso alla vita, ed esige la ricerca. Tuttavia non si può possedere la verità, ma solo intuirla, ovvero in altri termini esserne posseduti. Nel ribadire che la fede è luce oscura Edith si accompagna a Giovanni della Croce e allo Pseudo Dionigi l’Aeropagita. La fede non spiega tutto, lascia posto al mistero, ma pone chi crede nelle mani di Dio come un bimbo svezzato nelle braccia della madre.
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