sabato 15 maggio 2021

Edith Stein tra ebraismo e cristianesimo (4/4)


Una liturgia dell’attesa

Come l’autore della protocristiana Lettera a Diogneto anche Edith vive come straniera nel mondo: “Dovetti attendere con pazienza, cosa che mi venne confermata anche da chi dirigeva l’anima mia... ma l’attesa mi riuscì assai dura, soprattutto verso la fine: ero diventata straniera al mondo. Prima di accettare la docenza di Munster avevo chiesto con supplice istanza il permesso di entrare nell’Ordine, ricevendo però ancora un rifiuto, di cui mi veniva indicato il motivo sia nel dovere morale verso mia madre sia nell’attività che da anni svolgevo nell’ambiente cattolico. Mi ero sottomessa. Ma ormai tutti gli ostacoli crollavano: la mia attività era troncata, e mia madre sarebbe stata certo più contenta di sapermi in un monastero in Germania che non in una scuola in Sud America” (dallo Scritto autobiografico lasciato alla priora del Carmelo di Colonia). La sua capacità di attesa è dettata dal senso di servizio: “Siamo al mondo per servire l’umanità... Questo si può fare nel migliore dei modi, facendo qualcosa per cui si ha una vera predisposizione” (Storia...).

Nell’anno della laurea, durante una passeggiata con l’amica Pauline Reinach, Edith sosta nel Duomo di Francoforte: “Entrammo per qualche minuto nel duomo e mentre eravamo lì in rispettoso silenzio, entrò una donna con il suo cesto della spesa e si inginocchiò in un banco per una breve preghiera. Per me era una cosa del tutto nuova. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti che avevo visitato ci si recava solo per la funzione religiosa. Qui invece qualcuno era entrato nella chiesa vuota, nel mezzo delle sue occupazioni quotidiane, come per andare a un colloquio confidenziale. Non ho mai dimenticato quel fatto” (Storia...). Il colloquio intimo con Dio, immaginato da Edith, è un anticipo della speranza cristiana di una visione beatifica di Dio: “La più alta realizzazione raggiungibile da uno spirito creato - certamente non con le sue proprie forze - è la visione beatifica, che Dio gli dona quando lo unisce a sé; esso viene a partecipare della conoscenza divina, partecipando della stessa vita divina, Durante la vita terrena, il massimo avvicinamento a questa altissima meta è la visione mistica. C’è anche un grado preliminare, per il quale non è necessaria questa suprema elargizione di Grazia, ed è la genuina fede viva” (Essere...).

L’opera pedagogica e filosofica di Edith, dal momento dell’adesione a Cristo, costituisce una liturgia dell’attesa del suo ingresso nel Carmelo. La parola liturgia deriva dal greco leiturgòs composto da léiton ed érgon. Il secondo termine indica l’opera e il primo il luogo degli affari del popolo (laòs). L’opera di Edith è un servizio alle genti cristiane. Tale servizio ricorda 1’‘avodà ebraica che è un servizio a Dio contrapposto alla servitù al faraone d’Egitto. L’attesa di Edith è operosa. Il suo servizio al mondo è libero e consapevole dei propri limiti. Il suo atteggiamento è antitetico alla pretesa di redimere il mondo con la pochezza umana. Solo il ritorno di Cristo (parusìa) potrà portare sulla terra la pienezza del regno di Dio.

La croce

La contemplazione nel Carmelo conduce Edith allo svuotamento (kénosys) di sé: “La nostra venerata madre Teresa (d’Avila) considerava la vocazione al Carmelo sinonimo di vocazione alla contemplazione. Lo stesso vale di certo per ogni ordine contemplativo. In ogni caso credo che una via sicura sia quella di diventare un vaso vuoto per la Grazia divina” (La scelta...). Dio le affida un ruolo simile a quello della biblica Ester che viene separata dal suo popolo per servirlo: “Penso sempre alla regina Ester, che è stata scelta proprio per intercedere davanti ai re per il suo popolo. Io sono una piccola Ester povera e impotente, ma il re che mi ha scelto è infinitamente grande e misericordioso. E questa è una grande consolazione” (La scelta...).

Edith è consapevole che la sua scelta di Dio la conduce verso la croce: “E’ il principio su cui si fonda la vita di tutti gli ordini religiosi e in primo luogo del Carmelo: attraverso una sofferenza liberamente accettata, intercedere per i peccatori e collaborare alla redenzione dell’umanità” (La scelta...). La sua non è affatto una ricerca della sofferenza e della morte. Al contrario è un grido di dolore per la sofferenza e la morte che imperano nel mondo. Alla superiora del Carmelo di Echt scrive: “Cara Madre, mi permetta di offrire me stessa al cuore di Gesù quale vittima di espiazione per la vera pace: affinché cessi il dominio dell’anticristo, possibilmente senza una seconda guerra mondiale, e possa venire instaurato un nuovo ordine. Vorrei farlo oggi, poiché è l’ora X. So di essere un nulla, ma Gesù lo vuole, e chiamerà certo molti altri in questi giorni” (La scelta...).

Edith sale il suo Calvario, la camera a gas, accettando la morte in espiazione per i peccati propri e altrui. Ritiene indispensabile fare di tutto per evitare la sofferenza. Tuttavia quel che rimane è la croce che rende partecipi alla redenzione di Cristo. Edith compie la salita sul Golgota ripercorrendo L'ascesa al monte Carmelo di Giovanni della Croce: “La grazia mistica concede come esperienza ciò che la fede insegna: che Dio abita nell’anima. Colui che, guidato dalla fede, cerca Dio, si incamminerà liberamente verso il medesimo luogo in cui altri sono attirati dalla Grazia, dove si spogliano dei sensi e delle immagini della memoria, dell’attività pratica naturale, dell’intelletto e della volontà per ritirarsi nella deserta solitudine interiore, e rimanervi nella fede oscura, in un semplice sguardo amoroso dello spirito vero il Dio nascosto, che momentaneamente è velato. Egli sosterà qui in una profonda pace - perché ivi è la sede della quiete - finché piacerà al Signore trasformare la fede in visione” (Essere...).

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