martedì 11 febbraio 2020

L'Istria e le foibe



Alla fine della seconda guerra mondiale le potenze vincitrici (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica) cedettero alle pretese del maresciallo comunista jugoslavo Tito la penisola dell’Istria e la regione della Dalmazia. La città di Pola nel 1947 si svuotò: 32mila dei 34mila abitanti si diedero alla fuga. Già dal 1943 la violenza dei partigiani di Tito si era abbattuta sulla popolazione civile dell’Istria, sulla città di Fiume e sulla Dalmazia. Gli italiani fuggivano per non essere fucilati o gettati nelle foibe (grotte verticali) ancora vivi. Si avviavano verso i porti per imbarcarsi per l’Italia. A vigilare sul loro esodo erano i militari della Jugoslavia e i compagni comunisti (drugarici). Avrebbero vissuto per un decennio nei 109 campi profughi in tutta la Penisola: Chiavari, Cinecittà (Roma), Gaeta, Barletta, Aversa, Bagnoli (Napoli), Salerno, Capua. Caserme dismesse o fabbricati abbandonati con coperte di lana grezza appese ai fili come pareti. I giuliano-dalmati sfuggiti alla dittatura di Tito ammontarono a 350mila. Con i loro beni l’Italia pagò i suoi debiti di guerra e solo il 5% del prestito è stato restituito. Le masserizie degli esuli istriani giacciono ancora nel magazzino 18 al porto di Trieste. Nel quartiere popolare di Casermette a Torino vivono ancora, con i loro cognomi strani e la parlata veneta, i discendenti della diaspora giuliano dalmata. Il 10 febbraio di ogni anno si celebra la giornata del ricordo di questa tragedia.

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