Alla fine della seconda guerra mondiale le potenze
vincitrici (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica) cedettero
alle pretese del maresciallo comunista jugoslavo Tito la penisola dell’Istria e
la regione della Dalmazia. La città di Pola nel 1947 si svuotò: 32mila dei
34mila abitanti si diedero alla fuga. Già dal 1943 la violenza dei partigiani
di Tito si era abbattuta sulla popolazione civile dell’Istria, sulla città di
Fiume e sulla Dalmazia. Gli italiani fuggivano per non essere fucilati o
gettati nelle foibe (grotte verticali) ancora vivi. Si avviavano verso i porti
per imbarcarsi per l’Italia. A vigilare sul loro esodo erano i militari della
Jugoslavia e i compagni comunisti (drugarici). Avrebbero vissuto per un
decennio nei 109 campi profughi in tutta la Penisola: Chiavari, Cinecittà
(Roma), Gaeta, Barletta, Aversa, Bagnoli (Napoli), Salerno, Capua. Caserme
dismesse o fabbricati abbandonati con coperte di lana grezza appese ai fili
come pareti. I giuliano-dalmati sfuggiti alla dittatura di Tito ammontarono a
350mila. Con i loro beni l’Italia pagò i suoi debiti di guerra e solo il 5% del
prestito è stato restituito. Le masserizie degli esuli istriani giacciono
ancora nel magazzino 18 al porto di Trieste. Nel quartiere popolare di Casermette
a Torino vivono ancora, con i loro cognomi strani e la parlata veneta, i
discendenti della diaspora giuliano dalmata. Il 10 febbraio di ogni anno si
celebra la giornata del ricordo di questa tragedia.
Quanto a me, io do a te, più che ai tuoi fratelli, un dorso di monte, che io ho conquistato (Genesi 48,22)
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