La categoria biblica di "alleanza" di Dio con il popolo di Israele è centrale nella bibbia ebraica. Gesù di Nazaret, che in quell'alleanza vi si riconosce appieno, durante l'ultima cena con i suoi discepoli dirà che il pane è il suo corpo e il calice è l'alleanza nel suo sangue (Mc, Mt, Lc e 1 Cor). Non tragga in inganno l'aggettivo "nuova" alleanza, perché già il profeta Geremia ne parlava, senza per questo avere in mente la persona e la vicenda di Gesù (Ger 31, 31-34).
Eppure negli scritti cristiani il termine "alleanza" quasi scompare. Basti pensare che quelle sedici volte in cui viene citato nella lettera agli ebrei - giocoforza, visto che si parla di Gesù con categorie ebraiche - sono di più delle citazioni sparse nel resto degli scritti (vangeli, atti, lettere e apocalisse). Perché dunque una tale negligenza? A spiegarla non basta quel che dicono gli storici del cristianesimo, ovvero che per le autorità romane un'alleanza equivaleva a una società segreta di per sé illegale, sospetto che già aleggiava sulle prime comunità cristiane.
Il recupero della categoria di "alleanza" avviene con la riforma protestante, che mette la bibbia nelle mani di tutti, cercando peraltro una più marcata fedeltà al canone e ai testi delle scritture ebraiche. La teologia federale del riformatore Giovanni Calvino (Istituzione 2, 9-11) è una teologia del patto o dell'alleanza e oggi le chiese battiste, alcune chiese metodiste e le chiese riformate - in Italia i valdesi - sono raccolte nell'Alleanza riformata mondiale.
La maggior parte delle chiese metodiste poi ogni anno celebra un cosiddetto "servizio di alleanza" sul modello di quella liturgia che per prima si tenne nell'agosto del 1755 nella chiesa francese di Londra. Si tratta di un vero e proprio rinnovamento dell'alleanza che viene celebrato nella prima domenica conveniente dell'anno recitando la "preghiera del patto" del riformatore John Wesley.
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