martedì 28 settembre 2021

 

L’ultimo libro dello scrittore napoletano è una raccolta di nove racconti che ruotano attorno al tema della frattura di spazio e di tempo tra genitori e figli. Il ritratto A grandezza naturale in cui Erri De Luca si riconosce è infatti quello del genitore. Lo spunto per il primo racconto, che dà il titolo al libro, è un quadro di Marc Chagall e più precisamente un Ritratto del padre ad olio su tela del 1911. Immediatamente ci si ritrova catapultati su una cima deserta e desolata, nel racconto della “legatura di Isacco” ad opera di Abramo, perché padre e figlio sono “due capi della stessa corda”. Il libro si chiude con Una cronaca dedicata a Henryk Goldszmit, meglio noto come Janusz Korczak, direttore dell’orfanotrofio del ghetto di Varsavia. Anche in quest’opera si ritrovano dunque tutti gli elementi ricorrenti della narrativa di De Luca: l’infanzia trascorsa a Napoli, l’esperienza nei movimenti rivoluzionari, la scoperta dell’alpinismo e il rapporto con la Bibbia letta in ebraico. Al centro del libro campeggia una nuova versione de Il torto del soldato, già pubblicato nel 2012 come opera singola, in cui, dietro alla passione per lo yiddish e la kabbalà, una figlia scopre il passato nazista del padre. A narrare la Novella di un tempo lasciato è un profeta d’Israele e Ultima storia è un continuo rimando tra le scritture ebraiche e cristiane. De Luca, riferendosi alla Bibbia ebraica e più esattamente alla Mikrà, ebbe già modo di dire: “Non mi sento di appartenere ad alcuna gente e comunità, ma a quel libro sì, a quel libro appartengo”.

giovedì 23 settembre 2021

 

Dopo Le cattedre dei non credenti (2015), I Vangeli (2016), Giustizia, etica e politica nella città (2017) e La scuola della Parola (2018), un altro tassello si aggiunge all’opera omnia del Cardinale Martini. A cura e con l’introduzione di Brunetto Salvarani, con una prefazione del Cardinale Walter Kasper e un glossario dei concetti e delle organizzazioni citate, il libro si suddivide in tre grandi dialoghi: con il mondo ebraico, ecumenici, interreligiosi. Ebrei, cristiani, musulmani è infatti il sottotitolo del quinto volume dell’opera promossa dalla Fondazione Carlo Maria Martini con la collaborazione della Fondazione Cariplo.

Nella prima parte sono presenti alcuni importanti contributi come “Gerusalemme: storia, mistero, profezia” del 1980 al Pontificio Istituto Biblico a Roma, “Per sviluppare le relazioni ebraico-cristiane” del 1984 all’International Council of Christians and Jews a Vallombrosa, “La singolarità dell’elezione di Israele” del 1991 ai gesuiti in California, “Che questo popolo viva, che tutti i popoli vivano!” del 1992 a una manifestazione contro l’antisemitismo a Milano o “Profonda consonanza di radici” del 1996 in dialogo con rav Giuseppe Laras. Ma anche un articolo del 1987 richiesto dal Princeton Theological Seminary su “Cristianesimo ed ebraismo”, oppure un intervento del 1999 dal titolo “L’amore per Israele è un imperativo teologico” in dialogo con Amos Luzzatto a un convegno del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano (CCCM), o ancora una lectio del 2008 su “Intercedere, farsi carico dell’altro” tenuta alla Hebrew University di Gerusalemme sull’atteggiamento con cui si era ritirato a Gerusalemme al termine del suo incarico di Arcivescovo di Milano.

I temi trattati nella seconda parte sono Gesù, la parola di Dio, Lutero e la Bibbia, il millennio del battesimo della Rus’ di Kiev, l’assemblea ecumenica dei Basilea, la passione ecumenica di Oscar Cullmann, Ambrogio e la Chiesa d’Oriente e il patriarca Bartolomeo, la riconciliazione e la secolarizzazione, lo Spirito Santo e la debolezza delle chiese appartenenti al CCCM, la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio). Infine nella terza parte campeggia il profetico discorso “Noi e l’islam. Dall’accoglienza al dialogo” del 1990 alla città di Milano nella basilica di Sant’Ambrogio. Un discorso ancora attualissimo su un tema caldo come i rapporti tra cristiani e musulmani. Un testo che si fonda su una citazione biblica dal libro della Genesi (21,13-20). Diversi altri contributi si riferiscono all’islam come “Islam e cristianesimo” del 1993 rivolto agli insegnanti o alcuni messaggi rivolti ai musulmani in occasione della rottura del digiuno di Ramadan. Non mancano neppure “Riflessioni dall’Estremo Oriente” del 1986 in occasione di un suo viaggio o un messaggio ai buddhisti di Milano in occasione della festa di Vesakh. Così come un’omelia su “Il cammino delle grandi religioni verso il Punto Omega” tenuta nel 1993 durante il meeting internazionale “Uomini e religioni” di Milano.

Citando Amos Luzzatto che parlava del futuro, di ciò che si può fare insieme nell’impegno di camminare verso un’umanità riconciliata, Carlo Maria Martini conclude: “Qui il tema è arduo e si potrebbe dire che il percorso è difficile. È davvero difficile? Paolo De Benedetti risponderebbe: forse. Però il rabbino Kopciowski ha detto: è un’utopia che si avvera. Il mio augurio è che questa utopia si avveri!”. Se ciò che tarda, accadrà, lo si deve certo all’opera meritoria del compianto Cardinale di Milano.

lunedì 13 settembre 2021

 

“I compagni apprendevano il ciclo stagionale di ogni tipo di verdura, di frutta, di cereali e legumi. Impararono che ci sono diversi tipi di terreno, più o meno permeabile, e anche a distinguere tra insetti utili e dannosi. Col tempo impararono anche a parlare meno mentre lavoravano. Lassia, lo storico militare, lo stratega, il fondatore del Movimento dello Shomer haTzair sovietico […], il tipo pallido e grassoccio, imparò a coltivare le melanzane”.

Dall’Unione Sovietica, circa un secolo fa, alcuni giovani ebrei intraprendono un viaggio “ha-baytah”. L’Unione Sovietica infatti, pur essendo il luogo in cui sono nati e cresciuti, non è la loro casa. Lo si evince già dalle prime pagine del libro. Lungo un viale di Odessa c’è una donna appesa a un albero. Militava nella resistenza ucraina antisovietica. Il giorno prima aveva teorizzato che non esistono ucraini ebrei, ma solo ebrei ucraini. E qual è allora la casa di questo manipolo di giovani? Dove sono diretti? La casa a cui Lonya, Clara, Lassia, Mitya, Mola, Leo e Zvi tendono è la Palestina mandataria. Il governo inglese aveva infatti da poco approvato la dichiarazione Balfour (2 novembre 1917) che conteneva un riconoscimento della legittimità del loro insediamento.

Un sogno da realizzare, un nuovo modo di essere ebrei, il desiderio di una società più giusta, la voglia di assumersi responsabilità, la possibilità di scrivere una pagina di storia, il fascino di farlo insieme, in un collettivo sempre più ampio. Una volta giunti a destinazione, come in ogni impresa adulta, cominciano le difficoltà e gli errori, emergono i preconcetti e le ideologie, la terra si rivela arida e il clima ostile, la convivenza con gli arabi è problematica, il lavoro è scarso e duro, malattia e morte sono accucciate alla porta di casa. Eppure dalle fatiche di questi giovani pionieri sorge nel 1932 il kibbutz Beth Afikim. È qui che nasce l’autore di questo romanzo storico che ha il sapore di un’epopea. Nella valle del Giordano, all’altezza del lago di Tiberiade, altri kibbutzim nacquero e continuarono a nascere fino alla metà del secolo scorso.

L’ebraico Beth Afikim può essere tradotto con l’espressione “casa tra i fiumi”, il Giordano da una parte e il suo affluente Yarmuk dall’altra, con un richiamo al libro di Ezechiele (34,13). Oggi in questo villaggio vivono circa 1.500 persone che coltivano banane, palme da dattero, avocado, olive, flora subtropicale e cereali. Si occupano di acquacoltura e allevano 400 mucche da latte. La Afikim Electric Vehicles produce veicoli elettrici. La storia del kibbutz è la stessa dell’insorgente Stato ebraico: il mondo del lavoro si fa più complesso, nascono fabbriche e cresce l’individualismo, giungono i sopravvissuti dei campi di concentramento, sorge lo Stato d’Israele, scoppiano le guerre con il mondo arabo, il socialismo si annacqua e negli anni '80 il villaggio attraversa una crisi economica e viene parzialmente privatizzato.

Il sogno di quel manipolo di giovani ebrei partiti dall’Unione Sovietica si realizza, ma solo in parte. Del resto l’impresa fin dall’inizio si era rivelata non facile: “Lo Shomer haTzair dell’Unione Sovietica lasciò Afula e si divise in quattro unità. Una andò ad Haifa, la seconda andò a Zikhron Ya’akov, la terza andò in una fattoria per la formazione agricola e la quarta […] andò a sud verso Tel Aviv e si stabilì in una baracca di latta lungo il fiume Yarkon, vicino al mare. […] La seconda unità cercò di trovare lavoro negli agrumeti e nei vigneti di Zikhron Ya’akov, ma gli abitanti del villaggio preferivano gli arabi”.

Il discorso della montagna (Matteo 5) di Gesù di Nazaret

  LE BEATITUDINI (PREMESSA ALLE SUPERTESI) Il rotolo di Qumran 4Q525 2 II, 1-6 ha 9 beatitudini, di cui solo le ultime 5 sono conserva...