martedì 13 luglio 2021

 

All’epoca della pubblicazione delle leggi antiebraiche in Italia nel 1938 era un bambino. Quando furono applicate a Torino aveva appena cominciato a frequentare la seconda elementare. Fuggì in montagna ma, causa i rastrellamenti della repubblica di Salò, dovette ridiscendere a valle. Con la madre tornò in città dalla nonna, che non soffriva di paura ma di ingenuità, perché non aveva mai fatto del male a nessuno. Un giorno però due fascisti, in seguito alla delazione della portinaia del palazzo, vennero ad arrestare tutta la famiglia. In corso Vittorio Emanuele, durante il trasporto, il ragazzino riuscì a fuggire e si rifugiò presso dei parenti non ebrei. Madre e nonna, via Bolzano, furono internate a Ravensbruck e non le vide mai più.

Con questo breve ma intenso frammento autobiografico Giuseppe Laras apre una riflessione sulla memoria della Shoàh. Ricordare per ricostruire è l’obiettivo, ambizioso e fondamentale, di questo discorso che tocca i temi del negazionismo, della teodicea (ovvero della giustificazione di Dio di fronte al male), dell’unicità di Auschwitz. Laras, già docente di pensiero ebraico medievale e rinascimentale, fu rabbino capo ad Ancona e a Milano (dove rimase per 25 anni), promotore del dialogo tra ebrei e cristiani con il cardinale Carlo Maria Martini (e Paolo De Benedetti), presidente emerito e onorario dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia, nonché presidente del Tribunale rabbinico del centro-nord Italia e della Fondazione Maimonide di Milano e infine autore di numerosi libri.

Ha parlato rav Laras, e scritto molto, perché se “c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare” (Qohelet 3,7), e se il tempo per tacere (Dio non voglia) verrà, ora è tempo di dire, di raccontare, di argomentare. E’ questo il senso della collana “Fare memoria” dei Filosofi lungo l’Oglio (www.filosofilungologlio.it), cui l’instant book di Laras appartiene.

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