mercoledì 16 giugno 2021

Un pentagramma ebraico (3/6)

 

Israèl

Il libro della Genesi racconta che Giacobbe, durante un guado del torrente Jabboq, incappò di notte in un essere divino e lottò con lui fino all’alba (Genesi 32,22-33). Ne riportò una lesione, che lo rese zoppo, e una benedizione che gli mutò il nome in Israel. Secondo l’etimologia più probabile tale nome deriva dal verbo sharar (lottare) con El (Dio). I racconti dei patriarchi della Genesi costituiscono una tavola dei popoli d’estremo interesse. Abramo è padre d’Isacco, figlio della promessa, e d’Ismaele, capostipite degli arabi e per estensione dei musulmani. Isacco è padre di Giacobbe, figlio della promessa, e d’Esaù, capostipite d’Edom e per estensione di Roma e dei cristiani. Giacobbe è padre dei dodici capostipiti delle dodici tribù che compongono il popolo d’Israele. Questa tavola dei popoli è eziologica, ovvero è un tentativo di spiegare la realtà alla ricerca di probabili cause per evidenti effetti. Le estensioni - arabi e islamici, romani e cristiani - sono interpretazioni tarde e anacronistiche della realtà. Costituiscono tuttavia un presupposto che va ben oltre l’intenzione degli interpreti. Poggiano qui, infatti, le interpretazioni che definiscono provvidenziale, ovvero voluta da Dio, la diffusione del monoteismo ebraico all’umanità. Lo sostengono alcuni filosofi ebrei medioevali, tra cui Maimonide.

Dopo la conquista di Giosuè la Bibbia assegna alla terra di Cana’an il nome di Éretz Israel, ovvero terra d’Israele. Questa terra è particolare per Dio: lo dimostrano il suo passato e il futuro per essa profetizzato. Così come particolare per Dio è anche Israele, popolo scelto per essere qadosh, cioè sacro e santo. Dio separa Israele dagli altri popoli attraverso quei precetti biblici che i discendenti di Giacobbe possono praticare in modo esauriente solo vivendo in Éretz Israel. Sul significato teologico, oltre che politico, dell’odierno Stato d’Israele si è molto dibattuto. La Torah non ha una parola definitiva in proposito. Deve tuttavia far pensare che ebrei residenti nei territori palestinesi, un tempo appartenuti a Éretz Israel, sono oggi in condizione di poter rispettare integralmente i 613 precetti ebraici codificati anche fuori dallo Stato ebraico.

D’altro canto il popolo d’Israele non è sminuito dal suo vivere in diaspora, ovvero lontano dallo Stato d’Israele, come avviene per gli ebrei italiani. L’appartenenza al popolo ebraico non passa attraverso lo stato d’Israele, quanto piuttosto attraverso la qehillah, cioè l’assemblea. La moderna comunità ebraica è laica e gestisce tutte le istituzioni preposte al mantenimento di uno stile di vita ebraico: scuole, sinagoghe, ospizi, cimiteri e così via. La centralità sull’ebraismo israeliano, a scapito della tradizione culturale della diaspora, è una recente distorsione.

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