mercoledì 2 giugno 2021

Johannes Chrysostomus Wolfgang Teophilus Mozart (1/6)

 

La musica di Mozart ha effetti prorompenti. I due esempi letterari che seguono lo dimostrano. Nel romanzo II birrario di Preston del siciliano Andrea Camilleri (Sellerio, Palermo 2000), il falegname Lumìa viene rapito dalle melodie dell’opera II flauto magico: “Dopo manco ciuco minuti che l’orchestra sonava e i cantanti cantavano, a mia sicuramente mi principiò una febbre àuta. U cori mi batteva forti, ora sentiva càvudo càvudo ora friddo firiddo, la testa mi firriava. Didopu, come si fossi addiventato un palloneddro di acqua saponata, di quelli liggeri e traspaemti che i picciliddri fanno per jocu con nua cannuzza, accominzi a volare. Sissignura, a velari. Cillenza, mi deve crìdiri: volava! E prima m’apparse il triatro da fora, poi la piazza cu tutte le persone e l’armàla, po’ la citate intera ca mi parse nica nica, poi vitti campagni virdi, li sciumi granni do Nord, li deserti gialli ca dìcino che ci sono in Afirica, poi tutto il mondo istesso vitti, una palluzza colorata come a quella che c’è dintra a l’ovo. Dopu arrivai vicino a u suli, acchianai ancora e mi trovai in paradisa, con le nuvole, l’aria fresca pittata di blu chiaro, quarche stella ancora astutata. Poi la musica e lu cantu finero, io raprii gli occhi e vitti che dintra o triatro era arrimasto solo”. Fu così che Lumìa imparò a suonare il flauto: “U jomu dopu, che ancora pativo di febbre, spiai al signor Marsan d’insignarmi a sonare il flauto, e lui lo fece”.

La stessa opera di Mozart stimola la rinascita del protagonista del romanzo Cinque stagioni dell’israeliano Abraham B. Yehoshua (Einaudi, Torino 1993). Molcho è da poco rimasto vedovo e per la prima volta toma in quel teatro che sua moglie tanto adorava: “L’opera era molto lunga - quasi tre ore -, con alcune parti pesanti e poco chiare, ma altre parti meravigliose, così toccanti che era come se sciogliessero dentro di lui le cellule morte. Ogni volta che Papageno e Papagena facevano apparizione, sentiva come se una freschezza di germoglio sbocciasse sul palcoscenico”. Quella notte, complice un’abbondante nevicata che ricoprì Parigi, “la musica che aveva sentito cominciò a inseguirlo”, i suoni “volteggiavano dentro di lui cercando una via d’uscita” e quando la cugina, che lo ospitava, gli diede un sonnifero “Molcho sentì vicino a lui quella dolcezza di cui non aveva più goduto”. La musica di Mozart sembra far udire i sordi e resuscitare i morti. Perché sordo è anche chi sente senza ascoltare, e morto è anche chi vive per inerzia.

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