Le differenze più importanti
“Gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di parlare di Cristo, ma in certo senso di farlo loro vedere” (NMI n. 16). Noi cristiani proponiamo un “volto da contemplare”: il volto di Gesù. Siamo consapevoli tuttavia che il vedere non basta. Per credere è necessaria una grazia di rivelazione che viene dal Padre.
Il mistero di questo volto è profondo. Il concilio di Calcedonia nel 451 d.C. l’ha espresso con la formula “una persona in due nature” ma noi siamo consapevoli della limitatezza dei nostri concetti e delle nostre parole. Il mistero è ancora più profondo se consideriamo che il volto del Figlio (cf Gv 5,18), prima di essere quello del risorto (cf 1 Cor 15,14) è il volto dolente che sulla croce ha espresso tutta la sua sofferenza con le parole del Salmo 22: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34).
Per la fede della Chiesa è essenziale e irrinunciabile affermare che davvero il Verbo “si è fatto carne” ed ha assunto tutte le dimensioni dell'umano, tranne il peccato (cf Eb 4,15). In questa prospettiva l'Incarnazione è veramente una kenosi, uno “spogliarsi” da parte del Figlio di Dio, di quella gloria che egli possiede dall'eternità (cf Fil 2,6-8; 1 Pt 3,18).
I cristiani sono chiamati alla santità ovvero a una profonda appartenenza a colui che è tre volte Santo (cf Is 6,3). Il concilio di Nicea-Costantinopoli (381) parla di Trinità: Padre, Figlio e Spirito. Un unico Dio in tre persone. Questa chiamata alla pienezza è rivolta “a tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado” (LG n. 40). Le vie che conducono donne e uomini a questa misura alta della vita cristiana sono molte. Tutte hanno però alcuni elementi comuni.
L’evangelista Luca negli Atti degli apostoli racconta come i primi cristiani fossero “assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2,42). Sono quattro le dimensioni comuni: Parola, fraternità, eucaristia, preghiera.
Quella che più risponde al disegno di Dio e alle attese profonde del mondo è la comunione/koinonia: “tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo” (At 2,44-47).
Compito delle comunità cristiane oggi è anzitutto coltivare questa spiritualità che consenta di fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione. Spiritualità della comunione è saper fare spazio al fratello portando “i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie. Questa unione spinge Dio ad aggiungere ogni giorno alla comunità “quelli che erano salvati” (At 2,48).
L’idea espressa nel titolo di “religioni del libro” è di estremo interesse a livello culturale. E’ sotto gli occhi di tutti l’esigenza di un confronto per una migliore conoscenza che abbia per fine una pacifica e rispettosa convivenza.
L’idea del cristianesimo come “religione del libro” tuttavia non è cristiana. La definizione di religioni “del libro” (al-Kitab) è coranica e ben si adatta a Torà e Corano. Nell’impostare così la questione il cristiano accetta di guardare alle tradizioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo e islam) con occhio laico. Il cristianesimo pone al centro, prima ancora che il libro della Bibbia o dei Vangeli, la persona di Gesù Cristo e la sua “buona novella” (euanghèlion).
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