La mistica, per sua natura, si presta al fraintendimento. Il termine deriva dal greco mistikòs che rimanda all’idea di mistero e a un atteggiamento di chiusura (myo). I mistici attingono a Dio facendo appello a capacità segrete e soprannaturali. È pensiero comune - e qui starebbe il fraintendimento - che ciò avvenga a prescindere dalla ragione e dall’esperienza sensibile. Al contrario contemplazione e azione sono strettamente intrecciate nell’esperienza mistica. Scrive Leonardo Boff: “La parola mistica... non possiede in origine un contenuto teorico, legata com’è all’esperienza religiosa nei riti di iniziazione. La persona è condotta a sperimentare - per mezzo di celebrazioni, canti, danze, rappresentazioni sceniche e gesti rituali - una rivelazione o una illuminazione quale si conserva in un determinato gruppo chiuso” (Mistica e spiritualità, Cittadella, Assisi 1995).
Il domenicano Meister (maestro) Eckhart (1260-1328) affermava: “se vuoi trovare Dio, fai il vuoto in te stesso e lascia che sia Dio a parlare”. Fare il vuoto interiore non significa chiudere le porte al mondo. Significa piuttosto, scrive Boff, “creare, come diceva Eckhart, una grande sensibilità, capace di ascoltare il proprio cuore. Non solo in senso metaforico, ma fisico. Affinare in tal modo i sensi da essere in grado di ascoltare il minimo rumore, di distinguere il minimo colore, di captare i battiti del cuore...” (op. cit.). Un versante poco praticato è la mistica dei cinque sensi presente già in Origene e successivamente elaborata da altri.
Uno di questi è il sant’Ignazio di Loyola degli Esercizi spirituali. Prendiamo ad esempio la sua composizione di luogo tesa a ricostruire l’inferno: “Vedere con la vista dell’immaginazione le grandi fiamme... Udire con l’udito pianti, clamori, grida, bestemmie... Odorare con l’odorato fumo, zolfo, puzzo di sentina e putridume... Assaporare col gusto cose amare, come lacrime, tristezza e il verme della coscienza... Toccare col tatto, ossia come le fiamme toccano e bruciano le anime”. Scrive Sergio Quinzio: “l’intenzionale difesa e riaffermazione della religione tradizionale, del passato, finiscono paradossalmente per generare il moderno... Gli Esercizi sono moderni anzitutto nel loro carattere dinamico, costruttivo, pragmatico: si tratta di cose da fare esercitando al massimo tutte le proprie facoltà, per giungere a concrete scelte di vita, qui e ora” (Radici ebraiche del moderno, Adelphi, Milano 1990).
Ecco una mistica che non rinuncia affatto all’esperienza
sensibile e alla ragione. Una mistica che sembra offrire risposte ai bisogni
moderni. Bisogni che le religioni tradizionali non sempre comprendono. Scrive
Carlo Carozzo: “Le tendenze mistiche emergenti nelle società industriali
avanzate esprimono un mutamento culturale che le religioni storiche non
riescono a cogliere” (Mistica e crisi delle istituzioni religiose, in Concilium
n. 4/1994). Non sempre, almeno.
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