Il Talmud babilonese, nel trattato Baba Metzià, al foglio 59b, riporta una lunga discussione sulla catastrofe che nel 70 dell'era volgare, o dopo Cristo se preferite, colpisce l'ebraismo in terra d'Israele per mezzo dell'impero romano.
Il maestro ebreo Yochanàn ben Zakkai, che come un profeta vede l'ebraismo sopravvivere oltre la catastrofe, si accorda con il futuro imperatore romano Vespasiano. Yochanàn esce da Gerusalemme per fondare a Yavne, presso Giaffa, una casa di studio, o una sinagoga, se preferite.
In questo luogo rabbi Elièzer ingaggia una disputa con altri saggi su un argomento solo apparentemente insignificante. Si discute se i prodotti del fornaio Akhnai siano kashèr, o puri, se preferite. Ovvero se quanto esce dal forno di Akhnai possa essere consumato dagli ebrei osservanti oppure no.
Durante la discussione ciascuno dei contendenti, per dimostrare di avere ragione, chiama in causa la creazione, o il Creatore, se preferite. Così avviene che un ruscello inverta la sua corsa e scorra verso il monte, che un albero di carrube si sradichi dal terreno e voli a trapiantarsi da un'altra parte, che persino si faccia udire da tutti i presenti una bat qol, o una voce dal cielo, se preferite.
Elièzer ha ragione, afferma la voce dal cielo, o il Creatore, se preferite. Tuttavia la maggioranza dei saggi presenti alla discussione è d'accordo nel dare ragione ai contendenti di Elièzer. Il povero rabbi viene persino scomunicato, e suo cognato Gamalìel, in quel momento presidente del Sinedrio, o dell'assemblea dei saggi, se preferite, ratifica la decisione.
Quando rabbi Aqivà comunica a Elièzer quanto deciso dal Sinedrio, lo sguardo dello sconfitto incenerisce i campi e, a dimostrazione che il Creatore è dalla sua parte, Gamalìel rischia persino di affogare a causa di una tempesta. Si salva in extremis giustificandosi con il Creatore per aver inteso preservare la concordia in Israele.
Pare tuttavia che il Creatore, al momento della decisione del Sinedrio, abbia gioito pensando che i suoi figli l'avevano sconfitto.
Quanto a me, io do a te, più che ai tuoi fratelli, un dorso di monte, che io ho conquistato (Genesi 48,22)
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