venerdì 30 novembre 2018

Cristianesimo: una malattia infantile

Nei confronti dell'ebraismo le omelie dei preti cattolici - e i pensieri dei loro fedeli - erano e restano in buona parte oppositive. Come scriveva anni fa un noto rabbino romano, nella storia del cristianesimo - sì perché nemmeno i pastori protestanti ne sono esenti - c'è la terribile tendenza a proclamare la propria identità a discapito di quella ebraica. "Il nostro messaggio (dei cristiani) è positivo in quanto il loro (degli ebrei) è negativo". "Le nostre scelte sono buone poiché sono opposte alle loro". "Noi sì che siamo una religione d'amore, al contrario di loro". E l'ebreo è negativo in quanto rifiuta di identificare Dio in Gesù di Nazaret. Giustamente quel rabbino definiva infantile la necessità di identificarsi contrapponendosi alla presunta negatività altrui. Una sorta di malattia infantile da cui il cristianesimo non è mai del tutto guarito.


Quel rabbino citava allora un cardinale che sarebbe poi divenuto papa. "Il dialogo ha lo scopo di arrivare alla verità". "La verità è il riconoscimento della divinità di Gesù". "Il dialogo con gli ebrei è dunque parte del processo di evangelizzazione dell'Europa". E il rabbino sosteneva che un dialogo finalizzato a convincere gli ebrei della divinità di Gesù non ha senso di esistere. Parte col piede sbagliato e sarà sempre rifiutato. Non mi è chiaro poi cosa abbia fatto cambiare idea a quel rabbino. No, non sull'utilità del dialogo tra ebrei e cristiani. Molti protagonisti dei dialoghi tra le fedi hanno cominciato con grande scetticismo. Non mi è chiaro cosa gli abbia fatto cambiare idea su quel cardinale, una volta divenuto papa. Perché a quel papa lo scetticismo non è mai venuto meno.

Dai maestri ai discepoli. Ricordo un docente di una facoltà teologica cattolica che, nel corso di una sua lezione, sosteneva che le opere di Kierkegaard e di Rahner - protestante l'uno e cattolico l'altro - non erano nemmeno lontanamente paragonabili a quelle di Buber e di Rosenzweigh. A tutto vantaggio dei due cristiani, ovviamente, e discapito dei due ebrei. Ma lo stesso docente aggiungeva in seguito che di questa sua opinione non avrebbe mai osato parlare con dei colleghi ebrei, per paura di offenderli. Pochi giorni dopo una sua allieva, chiamata a sostenere un esame sulla rilettura della figura di Gesù da parte di esponenti della cultura ebraica, avrebbe confidato ai compagni di studio che libri come quelli di Ben Chorin, Klausner e Flusser - ebrei - sono assolutamente insignificanti in confronto agli scritti di Kierkegaard e Rahner. Li avesse almeno paragonati ai vangeli...

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