lunedì 20 agosto 2018

Famiglia e tempo

Ritmi e tempi della famiglia non sono temi biblici

La Bibbia narra molte storie familiari, contiene anche riflessioni e precetti sul tempo, ma sui tempi della famiglia – soprattutto quelli attuali, così frenetici – non c’è nulla. Si può parlare del tempo nella Bibbia e raccontare storie di famiglie.

La vita delle donne e degli uomini della Bibbia, come la nostra del resto, è scandita dai tempi del lavoro. Le feste religiose non fanno altro che assecondare i tempi agro-silvo-pastorali. C’è la festa della semina in primavera, pésach, ovvero pasqua. Poi c’è la festa del primo raccolto in estate, shavu’òt, cioè pentecoste. Infine c’è la festa della vendemmia o del secondo raccolto in autunno, succòt, capanne. Nel calendario ebraico solo molto più tardi è stata aggiunta una festa delle luci in inverno. La vita di un artigiano come Giuseppe, e quindi di Gesù, seguiva lo stesso ritmo.




Ma nei tempi di lavoro la Bibbia insinua l’idea della festa come riposo. Ecco dunque il Dio lavoratore: crea il mondo in sei giorni, ma il settimo giorno si riposa. È il sabato, in ebraico shabbàt, da una radice verbale che significa interrompere, cessare, tagliare. Nel calendario ebraico i primi sei giorni non hanno nome: si chiamano primo giorno, secondo giorno, terzo giorno etc. e nel vangelo quella che noi chiamiamo domenica (il giorno del Signore) è in realtà il primo giorno dopo il sabato.  Alla fine del sabato gli ebrei salutano il giorno che se ne va inalando dei profumi. Il sabato infatti è un anticipo del mondo futuro e quando passa ci si sente svenire. Il sabato dunque è un tempo liberato da ogni attività produttiva.

Nel Levitico Dio dice al popolo d’Israele di prendersi un anno sabbatico e di smettere di seminare potare e mietere, di far riposare la terra, che produrrà ugualmente ciò che serve per vivere. Con altre parole Gesù dirà di non preoccuparsi di ciò che mangeremo e di ciò che berremo, perché i gigli e i passeri non lo fanno e vivono lo stesso, nel loro splendore e con la loro vitalità. Dopo sette anni sabbatici, al cinquantesimo anno, il giubileo farà addirittura tornare ciascuno nella sua proprietà e chi avrà venduto perché è povero riotterrà i suoi beni e chi ha acquistato perché ricco li dovrà restituire: c’è qui l’invito a un tempo che libera dal lavoro e dal possesso dei beni. Il giubileo come utopia di un tempo liberante.

La fine del regno di Davide in Israele apre le porte alla speranza di un nuovo regno messianico. Il Messia porterà la fine dei dolori (il bimbo gioca sulla tana del serpente), delle guerre (le lance trasformate in falci), la scomparsa della morte (Dio asciugherà le lacrime sui volti). Non per nulla il simbolo profetico del Regno di Dio è un banchetto di vivande grasse e vini dolci. Oggi la psicologia insegna che la nostalgia del passato ci blocca, il presente assoluto è una sequenza di distrazione dagli impegni e solo il futuro vissuto con speranza rasserena e rivitalizza. Il messia dunque - o il suo ritorno - come attesa di un tempo futuro completamente liberato.

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