L'impreparazione delle comunità parrocchiali all'ecumenismo e al dialogo interreligioso è la diretta conseguenza di alcune idee. Una di queste è che l'ecumenismo porta confusione nella mente dei fedeli e quindi è da lasciare agli specialisti. Forse è vero il contrario. Pregiudizi come questo sono il dito dietro cui si nasconde il tipico semplice fedele, abituato da una certa tradizione ad assistere a omelie che in realtà non ascolta, piuttosto che pensare e studiare ricercando la verità.
I preti poi vivono nel timore di perdere qualcuno che può cedere alla tentazione di convertirsi a un'altra religione. Timore certo non del tutto infondato. Chi vive in una comunità ne conosce a fondo le tensioni ideali così come gli inevitabili compromessi con la quotidianità. Chi invece viene in contatto con una diversa realtà religiosa spesso lo fa a prescindere da una comunità, magari leggendo dei testi o ascoltando testimonianze di persone più illuminate del parroco medio.
Solo in un secondo tempo, entrato in possesso degli strumenti adatti per un'analisi più approfondita, può scoprire che la religione ideale non esiste e che risulta difficile persino valutare con serenità quale sia la religione migliore.
Il Mahatma Gandhi era affascinato dal Discorso della montagna di Gesù e provò sulla sua pelle la tentazione di convertirsi dall'induismo al cristianesimo. Sosteneva che Cristo è la più grande sorgente di forza spirituale che l'umanità abbia mai conosciuto. Ma non lo fece e anzi consigliò la conoscenza approfondita della religione che ciascuno ha ricevuto in eredità. Solo così si può giungere a possedere gli strumenti per un dialogo che escluda la passiva accettazione di un monologo altrui.
Passiva accettazione, si badi bene. Gandhi non intendeva dire che ciò che ciascuno cerca può trovarlo in una sola religione. Quindi il dialogo non esclude mai a priori la possibilità di una conversione. A patto che non si tratti però di un cedimento sprovveduto nei confronti di chi dimostra di possedere una risposta preconfezionata per ogni domanda del cuore umano.
Gli scolari del Ba'alshèm (un maestro ebreo chassidico) sentirono parlare di un tale come di un saggio. Alcuni di essi desideravano andarlo a trovare ed ascoltare i suoi insegnamenti. Il maestro dette loro il permesso, ma essi gli chiesero: "Da che cosa possiamo riconoscere che è un vero tzaddìq (giusto)?". "Pregatelo di consigliarvi" rispose il Ba'alshèm "come dovete fare perché i pensieri profani non vi disturbino durante la preghiera e lo studio. Se vi dà un consiglio, allora sapete che è un uomo dappoco. Perché il servizio dell'uomo nel mondo, fino all'ora della morte, è appunto quello di lottare volta per volta con le cose profane e volta per volta sollevarle e imperniarle nella natura del nome divino".
(Martin Buber, I racconti dei chassidìm)
Quanto a me, io do a te, più che ai tuoi fratelli, un dorso di monte, che io ho conquistato (Genesi 48,22)
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