giovedì 30 agosto 2018

Famiglie allargate

Abramo vive in una società patriarcale e pratica la poligamia, seppur con una moglie primaria. Se questa moglie è sterile, può dare la sua schiava al marito per averne dei figli. Se poi la schiava si comporta alla pari, la padrona le ricorderà che è sempre una schiava, imponendole il marchio. Al museo del Louvre, su una stele di basalto nero, c'è un codice che riporta esattamente questo decreto: è il codice di Hammurabi, re di Babilonia, regione che comprende Ur dei Caldei, città da cui proviene Abramo (XVIII-XIX sec. a.C.).

Come a volte accade nella Bibbia, lo stesso avvenimento è narrato due volte, in modi diversi. È il caso della storia di Agàr la schiava (Genesi 16 e 21) e di suo figlio Ismaele (Ishmà-El = Dio ascolta), progenitore degli arabi, primo figlio di Abramo. Qualche anno dopo a Sara, la moglie primaria di Abramo, nascerà Isacco, padre di Giacobbe/Israele, progenitore degli ebrei. Ismaele e Isacco giocheranno e litigheranno, come tutti i bambini/ragazzi. Allora Sarà farà cacciare Agàr e Ismaele nel deserto di Bersabea. Dietro il comportamento di Sara si può anche leggere il rifiuto di dividere l’eredità.

Dio però vede Agàr, ascolta il suo grido e la rende madre di moltitudini. E vede anche Ismaele, che sopravvive nel deserto e diventa tiratore d’arco. Così Dio benedice Isacco e fa di Israele una sua proprietà particolare che diviene "luce per le genti". Ma ha una benedizione anche per Ismaele. La tradizione islamica poi invertirà le parti.



La famiglia di Abramo dunque è una famiglia allargata, simile a molte famiglie di oggi, con i genitori separati che trovano altri partner e con i figli costretti a passare da una casa all'altra. Forse anche la sterilità di Sara si potrebbe leggere come un simbolo della sterilità affettiva di quelle coppie che “scoppiano”. Spesso si litiga per la divisione dei beni e a volte i figli divengono strumenti di ricatto.

L’incarnazione della parola di Dio significa anche questo. Dio entra nei costumi, nelle tradizioni e nei comportamenti umani discutibili. Non è Dio che fa quei costumi e quelle tradizioni. Che siano di culture e società antiche, oppure moderne, non importa. Dio semplicemente vi entra in punta di piedi. Passa sopra a tutte le debolezze umane e ha una benedizione, una parola di misericordia per ciascuno. E noi? Guardiamoci dentro, proviamo a cogliere le cose dal punto di vista di Dio, per giudicare con misericordia le situazioni che viviamo e/o incontriamo vivendo.

mercoledì 22 agosto 2018

Il padre scomparso

Il libro del Genesi racconta l’ingresso del male nel mondo e l’incrinarsi delle relazioni tra uomo e donna (Adamo ed Eva), tra fratelli (Caino e Abele), tra gli uomini e Dio, fino al diluvio. La famiglia di Noè è l’unica superstite. Comincia un tempo nuovo: da vegetariani gli esseri umani diventano onnivori. Tutti nell’arca hanno sofferto il mal di mare, la mancanza di terra sotto i piedi, e Noè in particolare torna a coltivare la terra, a piantare l’olivo e la vite (piante tipiche del Medio Oriente).

Il vino allieta il cuore dell’uomo (Salmo 104), è il simbolo del banchetto messianico: grasse vivande, vini eccellenti, cibi succulenti, vini raffinati (Isaia 25). Anche Gesù che trasforma l’acqua in vino alle nozze di Cana è identificato come messia. I superstiti del diluvio sono chiamati a generare figli per ripopolare la Terra (così si apre il capitolo). Ma Noè è stanco, anziano, in crisi fisica sociale e spirituale, si rifiuta di generare ancora e si stordisce col vino (quanti anziani lo fanno ancora oggi).



Qui il Genesi (cap. 9) ci narra l’incrinarsi della relazione tra padre e figlio. Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, anche se perde il senno, non disprezzarlo. L’opera buona non sarà dimenticata e rinnoverà la tua casa (Siracide 3). Una relazione non solo genetica, ma anche sociale psicologica e spirituale: pensiamo al padre padrone, ai complessi freudiani, alla ribellione dei figli e (ai giorni nostri) alla generazione senza padri. Per fare il padre infatti serve tempo da sottrarre ad altro, serve “esserci” nella vita dei figli. Altrimenti i figli devono fare da soli, ma nella società senza padri alcuni sanno come comportarsi, altri evidentemente no.

lunedì 20 agosto 2018

Famiglia e tempo

Ritmi e tempi della famiglia non sono temi biblici

La Bibbia narra molte storie familiari, contiene anche riflessioni e precetti sul tempo, ma sui tempi della famiglia – soprattutto quelli attuali, così frenetici – non c’è nulla. Si può parlare del tempo nella Bibbia e raccontare storie di famiglie.

La vita delle donne e degli uomini della Bibbia, come la nostra del resto, è scandita dai tempi del lavoro. Le feste religiose non fanno altro che assecondare i tempi agro-silvo-pastorali. C’è la festa della semina in primavera, pésach, ovvero pasqua. Poi c’è la festa del primo raccolto in estate, shavu’òt, cioè pentecoste. Infine c’è la festa della vendemmia o del secondo raccolto in autunno, succòt, capanne. Nel calendario ebraico solo molto più tardi è stata aggiunta una festa delle luci in inverno. La vita di un artigiano come Giuseppe, e quindi di Gesù, seguiva lo stesso ritmo.




Ma nei tempi di lavoro la Bibbia insinua l’idea della festa come riposo. Ecco dunque il Dio lavoratore: crea il mondo in sei giorni, ma il settimo giorno si riposa. È il sabato, in ebraico shabbàt, da una radice verbale che significa interrompere, cessare, tagliare. Nel calendario ebraico i primi sei giorni non hanno nome: si chiamano primo giorno, secondo giorno, terzo giorno etc. e nel vangelo quella che noi chiamiamo domenica (il giorno del Signore) è in realtà il primo giorno dopo il sabato.  Alla fine del sabato gli ebrei salutano il giorno che se ne va inalando dei profumi. Il sabato infatti è un anticipo del mondo futuro e quando passa ci si sente svenire. Il sabato dunque è un tempo liberato da ogni attività produttiva.

Nel Levitico Dio dice al popolo d’Israele di prendersi un anno sabbatico e di smettere di seminare potare e mietere, di far riposare la terra, che produrrà ugualmente ciò che serve per vivere. Con altre parole Gesù dirà di non preoccuparsi di ciò che mangeremo e di ciò che berremo, perché i gigli e i passeri non lo fanno e vivono lo stesso, nel loro splendore e con la loro vitalità. Dopo sette anni sabbatici, al cinquantesimo anno, il giubileo farà addirittura tornare ciascuno nella sua proprietà e chi avrà venduto perché è povero riotterrà i suoi beni e chi ha acquistato perché ricco li dovrà restituire: c’è qui l’invito a un tempo che libera dal lavoro e dal possesso dei beni. Il giubileo come utopia di un tempo liberante.

La fine del regno di Davide in Israele apre le porte alla speranza di un nuovo regno messianico. Il Messia porterà la fine dei dolori (il bimbo gioca sulla tana del serpente), delle guerre (le lance trasformate in falci), la scomparsa della morte (Dio asciugherà le lacrime sui volti). Non per nulla il simbolo profetico del Regno di Dio è un banchetto di vivande grasse e vini dolci. Oggi la psicologia insegna che la nostalgia del passato ci blocca, il presente assoluto è una sequenza di distrazione dagli impegni e solo il futuro vissuto con speranza rasserena e rivitalizza. Il messia dunque - o il suo ritorno - come attesa di un tempo futuro completamente liberato.

mercoledì 1 agosto 2018

Lottare con le cose

L'impreparazione delle comunità parrocchiali all'ecumenismo e al dialogo interreligioso è la diretta conseguenza di alcune idee. Una di queste è che l'ecumenismo porta confusione nella mente dei fedeli e quindi è da lasciare agli specialisti. Forse è vero il contrario. Pregiudizi come questo sono il dito dietro cui si nasconde il tipico semplice fedele, abituato da una certa tradizione ad assistere a omelie che in realtà non ascolta, piuttosto che pensare e studiare ricercando la verità.

I preti poi vivono nel timore di perdere qualcuno che può cedere alla tentazione di convertirsi a un'altra religione. Timore certo non del tutto infondato. Chi vive in una comunità ne conosce a fondo le tensioni ideali così come gli inevitabili compromessi con la quotidianità. Chi invece viene in contatto con una diversa realtà religiosa spesso lo fa a prescindere da una comunità, magari leggendo dei testi o ascoltando testimonianze di persone più illuminate del parroco medio.

Solo in un secondo tempo, entrato in possesso degli strumenti adatti per un'analisi più approfondita, può scoprire che la religione ideale non esiste e che risulta difficile persino valutare con serenità quale sia la religione migliore.





Il Mahatma Gandhi era affascinato dal Discorso della montagna di Gesù e provò sulla sua pelle la tentazione di convertirsi dall'induismo al cristianesimo. Sosteneva che Cristo è la più grande sorgente di forza spirituale che l'umanità abbia mai conosciuto. Ma non lo fece e anzi consigliò la conoscenza approfondita della religione che ciascuno ha ricevuto in eredità. Solo così si può giungere a possedere gli strumenti per un dialogo che escluda la passiva accettazione di un monologo altrui.

Passiva accettazione, si badi bene. Gandhi non intendeva dire che ciò che ciascuno cerca può trovarlo in una sola religione. Quindi il dialogo non esclude mai a priori la possibilità di una conversione. A patto che non si tratti però di un cedimento sprovveduto nei confronti di chi dimostra di possedere una risposta preconfezionata per ogni domanda del cuore umano.

Gli scolari del Ba'alshèm (un maestro ebreo chassidico) sentirono parlare di un tale come di un saggio. Alcuni di essi desideravano andarlo a trovare ed ascoltare i suoi insegnamenti. Il maestro dette loro il permesso, ma essi gli chiesero: "Da che cosa possiamo riconoscere che è un vero tzaddìq (giusto)?". "Pregatelo di consigliarvi" rispose il Ba'alshèm "come dovete fare perché i pensieri profani non vi disturbino durante la preghiera e lo studio. Se vi dà un consiglio, allora sapete che è un uomo dappoco. Perché il servizio dell'uomo nel mondo, fino all'ora della morte, è appunto quello di lottare volta per volta con le cose profane e volta per volta sollevarle e imperniarle nella natura del nome divino".
(Martin Buber, I racconti dei chassidìm)

Il discorso della montagna (Matteo 5) di Gesù di Nazaret

  LE BEATITUDINI (PREMESSA ALLE SUPERTESI) Il rotolo di Qumran 4Q525 2 II, 1-6 ha 9 beatitudini, di cui solo le ultime 5 sono conserva...