Dove
Ebrei e cristiani dialogano dovunque, ma particolarmente in America, Europa e, giocoforza, Israele. Ecco alcuni esempi di dialoghi recenti. Di particolare rilievo risultano quelli che coinvolgono le chiese ortodosse orientali in quanto, come si è già avuto modo di dire, la chiesa cattolica e quelle protestanti hanno già svolto un discreto lavoro in questo campo.
Il 12 agosto 2003 il Consiglio nazionale della sinagoghe (NCS) e il Comitato dei vescovi per gli affari ecumenici e interreligiosi (BCEIA) degli Stati Uniti d’America hanno redatto separatamente e pubblicato contemporaneamente alcune interessanti Riflessioni su alleanza e missione (cf II Regno, n. 19/2002). I cattolici riconoscono il valore del giudaismo rabbinico e rivedono la loro missione verso gli ebrei. Le parole del card. Walter Kasper, presidente della pontificia Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, esplicitano l’affermazione: “Il termine missione, nel suo significato proprio, si riferisce alla conversione dai falsi dei e idoli al vero e unico Dio... Pertanto, il temine missione, nel suo senso stretto, non può essere usato riguardo agli ebrei, i quali credono nel vero e unico Dio... Esiste un dialogo, mentre non può esistere alcuna organizzazione missionaria cattolica per gli ebrei”.
Gli ebrei ripensano al mandato di essere luce per le genti e individuano una missione comune per ebrei e gentili. La riflessione si articola su una triplice missione: alleanza, testimonianza e umanità. La prima missione è tutta interna all’ebraismo: “Gli ebrei sono i discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe, l’incarnazione fisica dell’alleanza di Dio con questi avi... un popolo fisico chiamato a vivere in una relazione speciale con Dio... con riconoscimenti per l’osservanza del patto, castighi per il suo tradimento”. Questa “sociologia teologica mette a disagio la maggior parte degli ebrei” che per preservare la propria identità instillano “l’orrore per i matrimoni misti” e “la passione per lo studio della Torah”. La seconda missione è la testimonianza al mondo: “La grande speranza degli ebrei è la loro redenzione e la ricostruzione del loro stato nazionale”. Questo intendeva il profeta Isaia parlando di Israele come luce delle nazioni: “Dio vuole che le nazioni vedano la redenzione di Israele e ne siano impressionate”. La terza missione è quella di tutta l’umanità: “è un errore essere come Giona e pensare che Dio si interessi solo agli ebrei... dell’uomo sofferente della Scrittura, Giobbe, non si dice né si lascia pensare in alcun modo che sia ebreo... tutti sono il popolo di Dio”. I sette precetti di Noè (cf Sanhedrin 56) e il pensiero di Maimonide secondo cui “i pii di tutte le nazioni del mondo hanno un posto nel mondo futuro” (Mishneh Torah 3,5) conducono ad affermare che il “tikkun ha-olam, il perfezionamento o la restaurazione del mondo, è una missione comune degli ebrei e di tutta l’umanità”.
La dichiarazione statunitense si chiude con l’affermazione che l’unica fede nella redenzione del mondo, comune a ebrei e cristiani, ha già prodotto molte opere e molte altre ne produrrà: “Abbiamo marciato insieme per i diritti civili; abbiamo sostenuto la causa degli operai e dei braccianti, abbiamo presentato al nostro governo petizioni perché rispondesse ai bisogni dei poveri e dei senzatetto e abbiamo sollecitato il nostro capo di stato a perseguire il disarmo nucleare”. La conclusione è affidata al Talmud: “Bisogna provvedere ai bisogni del gentile povero insieme a quelli dell’ebreo povero. Bisogna visitare l’ammalato gentile come si visita l’ammalato ebreo. Bisogna prendersi cura della sepoltura di un gentile, proprio come bisogna prendersi cura della sepoltura di un ebreo. (Questi obblighi sono universali) perché queste sono le vie della pace” (Ghittin 61 a).
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