C'è un Paolo che negli Atti parla di sé in
quanto giudeo educato ai piedi di Gamaliele allo scrupoloso rispetto della
Legge e al contempo cittadino di un impero - quale era quello
romano- bilingue e cosmopolita, e un Paolo sui testi del
quale la tradizione cristiana per secoli ha fondato la teologia della
sostituzione e una vera e propria separazione dalle sue radici ebraiche.
C'è infine un Paolo nella storia degli
studi: non solo di studiosi cristiani che hanno affrontato la lettura dei
suoi scritti in una chiave meno teologica e più storica (gli studiosi
della New Perspective on Paul), ma anche studiosi ebrei che in età
moderna e contemporanea hanno provato a rintracciare l'humus ebraica nel
pensiero di Paolo.
È a quest'ultimo gruppo di studiosi che è
dedicato il libro curato da F. Ballabio e M. Giuliani "Paolo di
Tarso nel pensiero ebraico" (Pazzini 2025) che in sedici saggi
ricostruisce, a partire da Spinoza, ma prevalentemente nel XX e fino alla
contemporanea corrente "Paul with Judaism Perspective" , una
rilettura di Paolo alla luce di quella cultura rabbinica che non gli era
affatto estranea, con il fine di ricollocare il pensiero di Paolo nel
giudaismo del suo tempo.
Un'opera come questa consente di
inquadrare storicamente l'evolversi di una lunga querelle sulla identità
di Paolo e anche di aggiornare quanti sono interessati al dialogo ebraico-cristiano.
In tale ottica va vista la riconsiderazione
del concetto di conversione di Paolo (che non volle mai smettere di
essere ebreo) come "chiamata profetica", il suo
pensiero come una delle tante voci del giudaismo del I secolo, forse
quella più ellenizzata, e la missione alle genti come un tentativo di
conciliazione di Israele con l'umanità.
Claudia Di Cave