Le origini della liturgia ebraica sono oscure (Enciclopedia Judaica).
Nella Torà non c’è nessuna preghiera pubblica (tefillà tzibbur) e poche preghiere individuali (tefillot jachid): Anna (una donna), Mosè per Miriam e Shlomò (richiesta di sapienza). I Salmi sono in realtà musiche parolate o parole musicate.
All’epoca del tempio la liturgia pubblica erano i sacrifici: fuori dal tempio si leggeva la Torà e dentro si recitava lo Shemà Israel (comunque tre brani).
Hirsch traduce tefillà con introspezione come verità su se stessi. Altro termine è avodà che significa lavoro o servizio e indica anche il culto reso a Dio durante tutta la vita (non ci sono luoghi o tempi sacri). La preghiera è sempre questione di cuore (il più intimo di se stessi).
Accanto al tempio c’era la sinagoga (bet ha-kneset) e il terzo pilastro era il digiuno. Gruppi familiari si organizzavano per portare gli animali al tempio per distribuire le proteine al popolo (cohen levi e poveri). Quelli che rimanevano a casa si univano a loro in preghiera nelle ore dei sacrifici. Ciò avveniva 3 o 4 volte al giorno: mattino, pomeriggio e chiusura delle porte del tempio, oltre un sacrificio aggiuntivo in occasione delle feste. Tuttavia la preghiera non sostituiva i sacrifici e oggi il lavaggio delle mani in sinagoga e in moschea è ciò che rimane del tempio.
Nel tempio ci si prostrava alla presenza divina e la guida spettava ai cohen. La preghiera più importante oggi è l’Amidà o 18 benedizioni che si recita in piedi. La guida non spetta ai cohen ma a chiunque ne sia capace. Il decalogo era un “pezzo forte” nel tempio ma oggi rimane solo un simbolo (spesso nelle facciate) delle sinagoghe. Anche il tema templare dell’alleanza (particolare) ha lasciato il posto a quello (universale) della signoria di Dio (Avinu Malkenu).
Da leggere: Schalom Ben Chorin, Il giudaismo in preghiera. La liturgia della sinagoga, Paoline 1988
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