Oggi il diritto canonico per la chiesa cattolica, la halakà per l’ebraismo, le costituzioni per le chiese evangeliche, non hanno alcun valore al di fuori delle comunità nelle quali vigono. Assai diversa era la situazione nell’antico vicino oriente, come del resto anche nel mondo classico, dove il diritto è sempre sacro e un dualismo tra chiesa e stato non era concepibile. Nel panorama di queste società estremamente conservatrici, Israele costituiva un’eccezione. Alcuni profeti esplicitano la separazione tra popolo credente e comunità etnico-politica. Questa distinzione comincia a prendere forma con il concetto di residuo eletto.
I profeti si occupano del futuro, non solo quello prossimo, ma anche quello remoto. Se la prima tappa della loro predicazione è il giudizio sul comportamento del popolo, la seconda tappa è spesso l’annuncio dell’azione divina gratuita (grazia). Alcuni profeti limitano questa grazia a un residuo eletto che si è convertito dopo essere scampato al giudizio. Per altri la situazione è talmente deteriorata che occorre un intervento divino per creare nel popolo un cuore nuovo e uno spirito nuovo (Ezechiele 36-37) o per stipulare una nuova alleanza (Geremia 31,31). Si badi bene: questi avvenimenti avranno luogo nella storia, non nel mito, e in quest’ottica l’apocalittica è solo un fenomeno involutivo.
Il profeta Isaia era sposato con una donna che portava il titolo di nevijà (profetessa) e che gli partorì due figli. Al primogenito misero nome (Isaia7,3): Shear-Jashuv (un residuo ritorna). Come per altri profeti (Osea) siamo in presenza di un nome simbolico che annunzia la sorte del popolo: giudizio e distruzione per gli empi e conversione e salvezza per il residuo eletto. Quello di un resto è un elemento tra i più antichi della predicazione di Isaia. Dopo la caduta del regno del nord, Isaia (a partire dal cap. 2) insiste sull’elezione di Sion, convinto che la tribù di Giuda è il resto d’Israele. Alla fine del suo ministero, una trentina d’anni dopo la nascita del suo primo figlio, Gerusalemme gli appare di fatto come il residuo eletto. Ma a questo punto un dubbio s’insinua in lui. Il residuo eletto potrebbe anche essere qualcosa di diverso dal popolo in senso entico-politico: potrebbero essere cioè coloro che credono ancora nelle promesse divine per il popolo d’Israele e in questa linea s’inserisce la speranza messianica.
Anche i profeti Michea, Amos (5,18) e Sofonia, conoscono l’oracolo e la nozione di residuo eletto. Oggetto degli strali di Michea sono i ricchi oppressori, i sacerdoti e i profeti che esercitano indegnamente il loro ministero, il sincretismo della religione di stato e la falsa sicurezza di aver fatto il proprio dovere. Alla base dell’inno medioevale dies irae, dies illa, contenuto nella liturgia cattolica, c’è il giorno di JHWH (1,7.14-18). Michea si rivolge a Gerusalemme e alla sua classe dirigente (3,1-13), che saranno oggetto di un prossimo giudizio, per mano delle nazioni gentili come strumento divino. Nel terribile giorno del giudizio - il giorno di JHWH - scamperà solo un resto di umili, mentre gli orgogliosi periranno.
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