Dall'alto
dalla punta estrema dell'universo
passando per il cranio
e giù fino ai talloni
alla velocità della luce
e oltre
attraverso ogni atomo di materia.
Tutto mi chiede salvezza.
Per i vivi e per i morti
salvezza.
Ecco la parola che cercavo
salvezza.
Questa poesia tratta da un libro di Daniele Mencarelli, divenuto poi l'omonima serie TV Netflix "Tutto chiede salvezza" in sette episodi, viene scritta in un reparto psichiatrico, dove il protagonista, a seguito di un trattamento sanitario obbligatorio, conosce persone che gli cambieranno la vita.
Il verbo: salvare, in ebraico: jasha', risuona 354 volte nella bibbia ebraica, di cui ben 136 volte nei 150 salmi come invocazione alla divinità che salva. Salvare significa: mettere al largo, spezzare una catena, far uscire dal confino, liberare dall'oppressione. Dio evita la sconfitta in battaglia (Esodo 15,2), protegge dalle disgrazie (Salmo 34,6), difende dai nemici (2 Samuele 3,10), scampa dall'esilio (Salmo 106,47), salva dalla morte (Salmo 6,4). Il verbo non ha connotazione teologica o spirituale.
Attendere la salvezza è da somari? Il graffito del Palatino, ritrovato nel 1587 a Roma, risale al terzo secolo o forse persino al primo. Sono tre i segni che lo compongono: un uomo innalzato su una croce con una testa d'asino, un altro uomo ai suoi piedi, forse in adorazione, e la scritta in greco: Alessàmeno venera [il suo] Dio.
La maggioranza pagana dell'epoca vedeva con sospetto il nascente culto cristiano. I cristiani allora erano vittime di pregiudizi che, una volta divenuto il cristianesimo religione dell'impero, avrebbero trasferito sugli ebrei: omicidio rituale, ateismo, resurrezione dei morti e persino onolatria (adorazione di un asino). Una setta pericolosa, che aveva in odio l'umanità. Un asino era Gesù, morto come un criminale. E somaro era chi attendeva la salvezza.
Nel vangelo di Luca (2,29-31), alla presentazione di Gesù bambino al tempio, il vecchio Simeone esclama: Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli. E nei Salmi (33,16-17) si prega così: il re non si salva (radice: jasha') per un grande esercito, né un prode scampa per il suo grande vigore; un'illusione è il cavallo per la salvezza (radice: jasha').
Illlusione è il cavallo, non l'asino, e Gesù entra in Gerusalemme cavalcando un asino, non un cavallo. Dunque è lecito attendere da Dio la salvezza che, come per Gesù, non può essere meno che la guarigione o persino la resurrezione.
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