Nel Salmo 65 c'è l'espressione: Dio nostra salvezza, in ebraico: Elohe (j)ish'enu. Elohe è una contrazione del nome comune e plurale di divinità Elohim. Quel: nu, è il suffisso di prima persona plurale: noi. Quel che resta è la radice ebraica del verbo: salvare. Sono tre consonanti: j(od) - sh(in) - '(ain). In mezzo c'è una consonante rumorosa, sibilante, come nell'italiano: sci o sciare. Agli estremi due consonanti quasi silenziose, l'ultima difficile da pronunciare per chi non parla ebraico. La prima la si avverte solo perché si pronuncia come una vocale: i. Il verbo è: jasha', e rimanda all'idea di: largo, spazioso.
Attingono a questa radice molti nomi biblici. Anzitutto: Yehoshua, in italiano: Giosuè, successore di Mosè. Nella Settanta, la versione in greco della bibbia, Yehoshua viene tradotto con: Iesous, come nelle parole di Stefano nelle scritture cristiane (Atti 7,45). Yehoshua è un nome comune in Israele. Basti pensare ad Abraham ben Yehoshua, forse lo scrittore israeliano contemporaneo più noto, soprattutto in Italia, autore di noti romanzi come: Il signor Mani, L'amante, Un divorzio tardivo.
Altri nomi biblici derivati dalla radice jasha' sono Yoshiyahu, il re riformatore Giosia, i profeti Yeshayahu e Hoshea, Isaia e Osea. Nelle scritture cristiane campeggia Gesù che, coma abbiamo visto, in greco è Yesous. Perché allora non: Giosuè? Perché il greco Iesous, dietro cui con ogni probabilità si nasconde l'aramaico Yeshua, abbreviazione di Yehoshua, è passato attraverso il latino Jesus, fino a diventare, appunto, l'italiano: Gesù.
Diversamente da Yehoshua in Israele, il nome Gesù non viene quasi mai utilizzato come nome proprio di persona, tranne che nei paesi di lingua ispanica. Nel passato in Italia si poteva trovare al massimo qualche Gesuino o Gesualdo, reso celebre quest'ultimo da una novella di Giovanni Verga. Ma in questi nomi scompare il riferimento alla salvezza.
Matteo, nella scena dell'annunciazione, all'inizio del suo vangelo (1,21), mette in bocca all'angelo le parole: Maria darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù. Ma, consapevole che ad un orecchio ebraico qualcosa manca, si sente in dovere di aggiungere: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. Così facendo esplicita l'idea sottesa di salvezza. Il nazareno infatti verrà in seguito definito: soter. Un termine greco che diventa nome proprio: il salvatore, il liberatore.
Missione compiuta? Non del tutto, come per ogni traduzione, che è un po' un tradimento. Quella salvezza aggiunta da Matteo è perdono dei peccati, una spiritualizzazione dell'idea ebraica di salvezza, che rimanda a una dimensione più materiale e politica persino. Per comprenderlo basta rileggere attentamente il salmo 65.
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