Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando. (v. 28)
Nell’evangelo di Giovanni, Gesù non nasce, neanche per un intervento straordinario dello Spirito santo, perché egli è da sempre. Giovanni scrive a 70/80 anni dalla storia e dalla morte di Gesù. Veniamo catapultati nel suo ministero pubblico. Non la Betania di Lazzaro, nei pressi di Gerusalemme, ma una località sulla riva sinistra del fiume Giordano. Fu la terra degli Ammoniti e ora è Perea. Giovanni chiama i figli d’Israele fuori dalla loro terra, nella condizione di Abramo: “lech lechà”.
Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». (vv. 29-31)
Gesù è l’agnello di Dio. Giovanni ha in mente alcune immagini delle Scritture ebraiche: “Ciascuno si procuri un agnello per famiglia” e “un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti” è, nella storia d’Israele, la Pasqua ebraica (Esodo 12,1-28); “Era come agnello condotto al macello” perché “intercedeva per i peccatori” è, nel passato teologico, il Servo sofferente di Isaia (52,13-53,12).
Perché Giovanni battezza nell’acqua? Perché venga il Messia: “Tutte le fini sono passate; dipende solo dal pentimento e dalle buone opere” (TB, Sanhedrin 97b); “Se Israele si pentisse un giorno solo, immediatamente verrebbe il figlio di Davide; se osservasse a dovere un solo Shabbat, verrebbe” (TP, Taanit 64a).
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio». (vv. 32-34)
Giovanni testimonia di aver visto “l’alito” di Dio. Lo Spirito aleggia sulle acque (Genesi 1,2), la colomba porta a Noè la “buona novella” (8,8-12), la sorella, amica, amata (Cantico dei Cantici 5,2). Giovanni non battezza Gesù. L’evangelista non lo chiama mai “Battista”. Giovanni è il primo testimone di Gesù. Dall’appartenenza alla testimonianza. Non sono cristiano perché battezzato da bambino. Lo sono se traspare dalla mia vita di ogni giorno.
Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbi - che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. (vv. 35-39)
Giovanni testimonia quotidianamente: dopo un 1° (vv. 19-28) c’è un 2° (vv. 29-34) e un 3° giorno (vv 35-36). “Regala” due discepoli a Gesù. Poi esce di scena in silenzio. Una sequela diversa da quella dei sinottici. Non Gesù chiama i discepoli, ma loro scoprono lui. Le prime parole di Gesù sono una domanda breve. Al principio della fede basta poco.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» - che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» - che significa Pietro. (vv. 40-42)
Giovanni è sempre attento a tradurre i termini. Così fa con mashìach (ebraico), unto (italiano), christòs (greco), il figlio di Davide atteso alla fine dei tempi, oppure con Shimòn (ebraico), frutto dell’ascolto, Cefa (aramaico), Pietro (greco).
Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: «Seguimi!». Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret». Natanaele gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaele gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaele: «Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli dì Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo». (vv. 43-51)
Anzitutto l’albero di fichi: “Come il fico è un albero che fin tanto che lo frughi trovi dei fichi, così pure la Torà: tanto più la si studia, tanti più insegnamenti se ne traggono” (TB Eruvin); “Tutti i frutti hanno delio scarto: i datteri e l’uva hanno i semi, i melograni hanno le bucce, ma il fico è tutto buono da mangiare. Così pure la Torà” (Midrash Jalkut Shim’onì). Lo “stare sotto l’albero di fichi” è un’immagine che indica l’amore per le Scritture d’Israele.
I discepoli testimoniano Gesù con un titolo: Rabbi e Messia (Andrea) - il “secondo le Scritture” (Filippo) - il Figlio di Dio e Re d’Israele (Natanaele). Sono le espressioni della fede in Gesù del tempo. Vere, ma insufficienti. Il Figlio dell’uomo (Daniele 7,9-15) apre i cieli come sognato da Giacobbe (Genesi 28,17).
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