sabato 31 luglio 2021

Il vangelo di un mistico ebreo

 

Il vangelo di Giovanni è lo scritto di un mistico ebreo. Se vogliamo rendere ridicolo Nicodemo dobbiamo leggere questo brano alla lettera. Perché questo testo ha un significato profondo che sfugge alla pura ragione. Quello che Giovanni stasera vuole insegnarci su Gesù non è spiegabile a parole. Parto da questo brano per condurvi al silenzio. A una scelta silenziosa.

v. 1 Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei.

Dove si svolge questo dialogo? Boh! Chi è questo Nicodemo? Non si sa. Non compare in nessun altro vangelo, né in qualche fonte rabbinica o, tantomeno, storica. Di chi è figlio? Da dove proviene? Segni particolari? Nulla di nulla. D’accordo è un uomo colto, un fariseo, un teologo, un membro di un tribunale ebraico dell’epoca. Una corte a un tempo religiosa e civile. Ma tutto questo descrive un tipo, non un individuo.

Cosa voglio dire? Che Gesù non ebbe mai una conversazione con un uomo chiamato Nicodemo? Alcuni tra i più religiosi di voi si arrabbieranno, abituati come siamo a prendere tutto alla lettera, a razionalizzare. Si sentiranno messi in discussione, vivranno queste mie parole come un attacco alla verità cristiana che ci è stata trasmessa.

Ma attenzione! Non dobbiamo confondere le parabole con la storia. I credenti del primo secolo avevano bisogno di ricordare Gesù attraverso immagini forti. La liturgia e la predicazione hanno inciso sulla memoria di Gesù che è arrivata fino a noi. Il Primo Testamento, le Scritture d’Israele, hanno fornito dei modelli di attesa del Messia. La comunità di Giovanni ha applicato questi modelli alla vicenda di Gesù.

Giovanni ci racconta un Gesù che supera i limiti, rompe le barriere, ci invita a entrare in una nuova dimensione. Ci mostra il divino dentro di noi, ci apre a una nuova coscienza, una consapevolezza universale. Giovanni ci spinge a diventare diversamente umani.

Nicodemo non è ancora pronto per questo salto. Gesù glielo dice: il tuo sguardo è superficiale, tu prendi le parole alla lettera, citi le Scritture per far vedere che le conosci. Devi cambiare sguardo, hai bisogno di occhi nuovi.

Ma Nicodemo è un simbolo, un personaggio letterario, ha la stessa realtà storica dell’Amleto di Shakespeare, di Pinocchio, di don Chisciotte o, che so, di Harry Potter. Eppure esprime una verità, svela un aspetto di noi, come fanno altri personaggi messi in scena da Giovanni: il cieco nato, la samaritana. Nicodemo sono io, siamo noi.

v. 2 Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: "Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui".

Nicodemo cerca un’intesa con Gesù, gioca la carta dell’empatia, lo chiama Rabbì, mio maestro, un titolo prestigioso nel mondo ebraico dell’epoca. Anche noi abbiamo grande rispetto di Gesù. Nicodemo riconosce che i segni di Gesù vengono da Dio. Ma per quelli come Nicodemo, Dio è un essere soprannaturale esterno. Se lo si prega secondo le regole dell’autorità ecclesiastica, Dio compie opere potenti. Non è così anche per noi?

Il nostro brano è contenuto in quella sezione del vangelo di Giovanni chiamata Libro dei segni. I segni sono le azioni straordinarie di Gesù. Quello che Gesù è, non si può dire a parole, si possono però raccontare le sue gesta, che sono un modo di raffigurare l’invisibile. Giovanni ci mostra la vicinanza di Gesù, il suo chinarsi su chi soffre, la cura per i deboli che incontra.

Nel vangelo di Giovanni non c’è posto per la Trasfigurazione, il cambiamento di figura di Gesù, che lo porta fuori dal tempo e dallo spazio. Giovanni sposta anche la cacciata dal tempio di Gerusalemme dei venditori di buoi, pecore e colombe. Negli altri vangeli è verso la fine; qui è all’inizio, dopo le nozze di Cana. Gesù dice che Dio non abita nel tempio, ma nel corpo, che c’è un modo diverso di vedere le cose.

Nicodemo è allora il simbolo di coloro che sono colpiti da Gesù, ma non lo seguono, come invece fanno i discepoli. Nicodemo è il tipo che alla luce, preferisce la penombra. Giovanni lo fa arrivare da Gesù di notte. Una notte che è fuori, ma che presto sarà anche dentro di lui, quando Gesù, anziché rischiararlo con un segno, lo rabbuierà con le parole.

v. 3 Gli rispose Gesù: "In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio".

In verità in verità, significa: attenzione! Se vuoi entrare nel regno di Dio devi nascere dall’alto. Che significa? Il regno di Dio era pensato allora come un luogo al di sopra del cielo in un universo a tre livelli: terra, cielo e Dio. Oggi potremmo tradurre il termine regno con ambito, non un luogo fisico ma un’esperienza, un nuovo livello di coscienza. Rinascere dall’alto non significa quindi convertirsi al cristianesimo o rispettare il precetto della messa festiva. Giovanni non parla di una nuova condizione religiosa, ma di una condizione esistenziale, di una nuova dimensione della vita.

Noi fatichiamo a capirlo, perché le sue parole di mistico ebreo, di persona che tende all’unità, sono state poi lette in un mondo greco che al numero uno preferiva il due. Prima in classifica è la vita degli dei, ultima la vita umana. Gesù è un Dio che ha lasciato la maglia rosa, il suo regno al di sopra dei cieli, per indossare la maglia nera, in un mondo fatto di carne e sangue. Un supereroe mascherato da essere umano.

Come conciliare in Gesù il divino e l’umano? Quante discussioni nella storia della Chiesa! Come preservare la divinità senza perdere in umanità? Giovanni non avrebbe capito questi discorsi. Era un ebreo, non un greco; un mistico, non un teologo razionale. Per lui Gesù rappresenta una nuova visione, una nuova coscienza, un nuovo modo di intendere le cose. Caro il mio Nicodemo, cari noi tutti, cambiamo occhi, apriamoci a un’esperienza nuova.

v. 4 Gli disse Nicodèmo: "Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?".

Nicodemo continua a usare la ragione, interpreta le parole secondo il loro proprio significato, alla lettera. Formula un’immagine assurda e, per certi versi, divertente. Così spassosa che il comico ebreo americano Woody Allen ne ha fatta una gag. Poi è addirittura approdata al cinema ne “Il curioso caso di Benjamin Button”. Il gioco è nascere vecchi e ringiovanire, fino a entrare di nuovo nel grembo materno

v. 5 Rispose Gesù: "In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio.

Attenzione! L’acqua qui non è un riferimento al battesimo. Qui l’acqua è la placenta, le acque della pancia di una madre, quelle che si rompono al momento del parto. Gesù parla di una prima nascita, quella naturale, quell’evento per cui ciascuno di noi stasera è qui, presente e vivo. Poi c’è una seconda nascita, la nascita dallo Spirito, che non è la Cresima o quello che accade agli evangelicali quando uno accetta Gesù come suo salvatore personale, ricevendo così i doni dello Spirito, come il parlare in lingue.

v. 6 Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito.

Nascere nello Spirito, secondo la mistica ebraica di Giovanni, significa entrare in una nuova dimensione dell’esistenza. Cogliere la realtà del mondo da un punto di vista diverso. Diverso dal mio, contrapposto al tuo, secondo la logica del numero due. Uno sguardo dall’alto, il punto di vista di Dio, che coglie una sola realtà al di sopra del mio e del tuo. Avete mai provato a salire sul Resegone e a guardare Lecco da lì? C’è ancora spazio da lassù per il mio, opposto al tuo?

v. 7 Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall'alto.

Essere umani significa tante cose. Conoscere se stessi e vivere con coscienza il tempo presente. Ricordare il passato e riviverlo nella propria mente. Immaginare il futuro e gioirne prima che arrivi. Accogliere i nostri limiti e non rimuovere la morte. Significa non confondere la mente, che può vagare oltre i nostro limiti fisici, con il corpo, vincolato allo spazio e al tempo. Significa sentirsi soli, provare ansia, vivere la lotta quotidiana per la sopravvivenza. Vuol dire cogliere il proprio sé, cogliere la complessità del mondo, senza diluire la propria identità nel liquido della realtà che ci circonda.

v. 8 Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito".

La nostra coscienza ci offre la straordinaria possibilità di oltrepassare i nostri limiti, come il soffio del vento, di fare esperienza di un universale, un senso di unità con tutte le cose. Qui conoscere le religioni dell’Oriente – il buddhismo, l’induismo, etc. - ci può essere di grande aiuto.

v. 9 Gli replicò Nicodèmo: "Come può accadere questo?".

Nicodemo utilizza la religione per stare dentro una realtà dai confini sicuri e inviolabili. Così rimane legato alla terra e alla carne.

v. 10 Gli rispose Gesù: "Tu sei maestro d'Israele e non conosci queste cose?

Giovanni ci racconta di un Gesù impegnato ad aprirgli gli occhi e a trasformare la sua notte in giorno.

v. 11 In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza.

Molti di noi sono prigionieri di una gabbia che si sono costruiti da sé a partire dalla religione o da molte altre istanze.

v. 12 Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?

Ora Gesù sposta il discorso sulle Scritture d’Israele, sulla parola di Dio.

v. 13 Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo.

Se rimaniamo al significato letterale del testo possiamo contestare Gesù. Nessuno è mai salito al cielo? Non è vero! La Bibbia narra che il profeta Elia è salito al cielo su un carro di fuoco. La tradizione ebraica lo ipotizza anche per Mosè, dato che della sua tomba non c’è traccia in terra d’Israele. Non dobbiamo prendere le parole di Gesù alla lettera. Dobbiamo coglierne il senso profondo. Dobbiamo acquisire uno sguardo diverso. Dobbiamo, come dice il poeta, raccogliere in bocca il punto di vista di Dio.

v. 14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo,

Il libro dei Numeri ci racconta del popolo ebraico che vaga nel deserto. Il braccio teso di Dio li ha liberati dalla schiavitù d’Egitto. A un certo punto il popolo comincia a lamentarsi del suo destino. Avverte tutta l’ansia del vivere in libertà, rimpiange la schiavitù. Il deserto si popola allora di serpenti brucianti, il cui morso uccide. Il popolo, terrorizzato, si rivolge a Mosè: intercedi presso Dio perché allontani i serpenti.

Mosè prega e Dio gli risponde: costruisci un serpente di bronzo o mettilo su un’asta. Chi verrà morso dai serpenti e lo guarderà, sarà guarito. Mosè lo fa e il rimedio funziona. Ancora oggi il serpente sull’asta è il simbolo della medicina; lo vediamo nelle insegne delle farmacie.

v. 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Giovanni vede Gesù innalzato sulla croce: come il serpente, toglie il veleno dalla nostra vita. Giovanni sta usando un’immagine della mistica ebraica del trono. Gesù sarà messo in trono, ma non sul trono d’oro del potere terreno, neppure sul trono di bronzo del serpente. Il suo trono è di legno e ha forma di croce.

v. 16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.

Il Figlio dell’uomo non viene sulle nubi a giudicare la nostra inadeguatezza, ma ci mostra che Dio è dentro di noi, che l’Eterno ci fa partecipare della sua eternità.

v. 17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

Giovanni ci insegna che chi preferisce il buio alla luce, la sicurezza alla libertà, l’immobilità al movimento, si condanna da solo a un’esistenza parziale.

v. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.

Che fine farà Nicodemo? Compare due volte ancora nel vangelo di Giovanni. La prima quando Gesù sale a Gerusalemme per la festa delle capanne e provoca le autorità che cercano di ucciderlo. Nicodemo li avverte che non si giudica un uomo prima di averlo ascoltato. Gli rispondono: sei galileo anche tu? sei discepolo di Gesù? sei compagno di quel provinciale? Cosa può venire di buono da quei rozzi contadini che vivono così distanti dalla capitale e dal tempio?

v. 19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie.

Nicodemo compare un’ultima volta nel vangelo di Giovanni. Gesù è morto e deposto dalla croce. Bisogna dargli una degna sepoltura. Giovanni ci suggerisce che Nicodemo ha scelto il buio, ha perso l’occasione per venire alla luce. Nicodemo arriva ancora una volta di notte. Porta oli e profumi per la salma di Gesù.

v. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate.

Ma che ha fatto di male Nicodemo? Non ha rubato, né ucciso nessuno, anzi una volta ha persino difeso Gesù. Nicodemo porta una mistura di mirra e aloe. Ma ne porta trenta chili: una quantità esagerata. Sembra quasi che debba farsi perdonare qualcosa. Il corpo di Gesù viene fasciato con teli di lino, come Lazzaro. Viene messo in una tomba nuova. Giace in un giardino senza nome, come anonimo è il luogo dell’incontro tra Gesù e Nicodemo.

v. 21 Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio".

Ma Nicodemo siamo noi. Il significato della nostra vita è ora racchiuso in questo luogo senza nome. Le parole sono finite. Non rimane che il silenzio. Ve l’avevo detto che vi avrei condotti qui. Il mondo aspetta. Aspetta un nostro sguardo. Siamo pronti per un’alba nuova?

venerdì 30 luglio 2021

Un marito e un bimbo (Rut 4)

 


Booz dunque sali alla porta della città

La porta della città, luogo di passaggio e di mercato, è uno spazio aperto dove tradizionalmente avvengono i procedimenti legali in presenza di testimoni.

e lì si sedette. Ed ecco passate colui che aveva il diritto di riscatto e del quale Booz aveva parlato. Booz lo chiamò: "Vieni a sederti qui, amico mio!".

Tu, tal dei tali. E’ assai strano che Boàz non chiami per nome una persona che certamente conosceva, visto che era suo parente, e soprattutto all’interno di un libro nel quale ogni personaggio ha il suo nome proprio.

Quello si avvicinò e si sedette. Poi Booz prese dieci degli anziani della città

Un consiglio di anziani pronunciava un giudizio in caso di omicidio (Dt 21,1-9), si occupava del diritto d’asilo (Dt 19,11-12) e del matrimonio leviratico (Dt 25,5-10). Dieci anziani della città rappresentano la completezza. Ancora oggi dieci è il numero minimo di adulti maschi (minjàn) che consente la preghiera in sinagoga. Il libro di Rut si apre con la menzione di dieci armi trascorsi in terra di Moàb e si chiude con dieci generazioni. Se poi ai dieci anziani aggiungiamo Boàz e l’anonimo ricattatore i personaggi diventano dodici in rappresentanza delle tribù che costituiscono il popolo d’Israele.

e disse loro: "Sedete qui". Quelli si sedettero. Allora Booz disse a colui che aveva il diritto di riscatto: "Il campo che apparteneva al nostro fratello Elimèlec, lo mette in vendita Noemi, tornata dai campi di Moab.

Naomi, una vedova povera, possiede un campo. Ora intende cederlo in usufrutto e il parente più stretto ha un diritto di prelazione.

'Ho pensato bene di informartene e dirti: "Compralo davanti alle persone qui presenti e davanti agli anziani del mio popolo". Se vuoi riscattarlo, riscattalo pure; ma se non Io riscatti, fammelo sapere. Infatti, oltre a te, nessun altro ha il diritto di riscatto, e io vengo dopo di te". Quegli rispose: "Lo riscatto io".

Il campo interessa all’anonimo riscattatore. E Booz proseguì: "Quando acquisterai il campo da Noemi, tu dovrai acquistare anche Rut, la moabita, moglie del defunto, per mantenete il nome del defunto sulla sua eredità".

La legge del levirato prescrive all’anonimo il dovere di sposare Rut e assicurare la discendenza del defunto marito. Gli eredi dei campo saranno proprio i figli di Rut. Questa è l’unica volta in tutta la Bibbia in cui si indica il matrimonio con il verbo acquistare. Forse perché questo matrimonio leviratico porta con sé una transazione commerciale più ampia.

Allora colui che aveva il diritto di riscatto rispose: "Non posso esercitare il diritto di riscatto, altrimenti danneggerei la mia stessa eredità.

L’anonimo parente fa un passo indietro di fronte alla prospettiva di mantenere una famiglia che non sarebbe stata sua.“Machlon e Chilion sono morti precisamente perché avevano preso per mogli (due moabite). Posso prenderla a queste condizioni?” (midràsh). L’anonimo non vuole mescolare il proprio sangue con quello di una straniera. Due nuore, Oipà e Rut, e due possibili riscattatori, Boàz e l’anonimo parente. Come Orpà ritorna alla sua casa e abbandona Naomi, così il parente più prossimo rinuncia a riscattare Rut. Di fronte alla scelta si può abbandonare una persona o prendersi cura di lei.

Subentra tu nel mio diritto. Io non posso davvero esercitare questo diritto di riscatto". Anticamente in Israele vigeva quest’usanza in relazione al diritto di riscatto o alla permuta: per convalidate un atto, uno si toglieva il sandalo e lo dava all’altro. Questa era la forma di autenticazione in Israele. ^Allora colui che aveva il diritto di riscatto rispose a Booz: "Acquistatelo tu". E si tolse il sandalo.

Secondo il precetto biblico è la vedova che sfila il sandalo del cognato e gli sputa in faccia (Deuteronomio). Qui invece è lo stesso riscattatore a levarsi il calzare.

Allora Booz disse agli anziani e a tutta la gente: "Voi siete oggi testimoni che io ho acquistato tutto quanto apparteneva a Elimèlec, a Chilion e a Maclon dalle mani di Noemi,

Boàz dichiara solennemente di fronte ai testimoni la sua intenzione di riscattare la terra che apparteneva a Elimèlec e dì sposare Rut.

e che ho preso anche in moglie Rut, la moabita, già moglie di Maclon, per mantenere il nome del defunto sulla sua eredità, e perché il nome del defunto non scompaia tra i suoi fratelli e alla porta della sua città. Voi ne siete oggi testimoni".

Nella magnanimità Boàz assomiglia a Rut, il cui comportamento nei confronti della suocera supera la consuetudine. Compaiono qui due termini essenziali delle promesse divine fatte ai patriarchi: la terra e la discendenza. Due elementi che non possono essere divisi. C’è un legame diretto con Abramo: “La terra dove sei forestiero... la darò in possesso per sempre a te e alla tua discendenza dopo di te; sarò il loro Dio” (Genesi).

Tutta la gente che si trovava presso la porta rispose: "Ne siamo testimoni". Gli anziani aggiunsero: "Il Signore renda la donna, / che entra in casa tua, come Rachele e Lia, / le due donne che edificarono la casa d'Israele.

Rut è paragonata a Rachele e Lia, le due mogli di Giacobbe. Rachele è citata per prima, forse per sottolineare la scelta del minore, tipica della logica divina. Donne che non sono esenti da imbrogli e furbizie. A Giacobbe, che voleva sposare Rachele, il padre Labano diede anzitutto Lia. Giacobbe scoprì l’imbroglio solo la mattina dopo le nozze. Rachele per restare incinta prese le mandragore e cedette per una notte Giacobbe alla sorella Lia (Genesi).

Procurati ricchezza in Èfrata, / fatti un nome in Betlemme! /'^La tua casa sia come la casa di Peres, / che Tamar partorì a Giuda,

Viene ricordata anche Tamar insieme al figlio Peres e al padre del bambino Giuda (Genesi).

grazie alla posterità /che il Signore ti darà da questa giovane!". ^Cosi Booz prese in moglie Rut. Egli si uni a lei e il Signore le accordò di concepire: ella partorì un figlio.

Più di nove mesi compresi in un solo versetto. Uno dei due passaggi del libro in cui Dio è attore della storia. In principio ha donato pane al suo popolo e ora dona a Rut di concepire e far nascere un figlio. Una risposta a Esdra e Neemia che propugnano l’esclusione delle donne straniere come soluzione dei problemi in un tempo difficile (Neemia). Le due mancanze che caratterizzavano l’inizio della vicenda, la fame e l’assenza di discendenza, trovano una soluzione. La fine della storia è un nuovo inizio. D’altro canto non bisogna dimenticare che la storia che si lascia ricordare come un idillio è in realtà prevalentemente una storia di gente che ha fame.

E le donne dicevano a Noemi: "Benedetto il Signore, il quale oggi non ti ha fatto mancate uno che esercitasse il diritto di riscatto. Il suo nome sarà ricordato in Israele!

Dio non appare a nessuno, non parla direttamente ad alcuno, non si rivela in sogno: il disegno divino si realizza nelle vicende e nelle azioni dei personaggi. Come nella vicenda di Giuseppe (Genesi) e di Ester. Contro ogni fatalismo (non cade foglia che Dio non voglia) o rassegnazione (un destino scritto da sempre).

Egli sarà il tuo consolatore e il sostegno della tua vecchiaia, perché lo ha partorito tua nuora, che ti ama e che vale per te più di sette figli".

Le donne di Betlemme non avevano risposto alle parole disperate di Naomi all’inizio del racconto. Ora invece esprimono la loro gioia ripetendo per tre volte la stessa espressione: per te è sorto un consolatore, per te è il sostegno della vecchiaia, per te tua nuora ha partorito un figlio. Il consolatore letteralmente fa tornare la vita. Il verbo shùb o tornare nel libro ricorre per ben quindici volte. Un singolare quiproquo: il ricattatore di Rut è Boàz, quello di Naomi è il bimbo. Rut ama Naomi e vale per lei più di sette figli: in una società nella quale il maschio vaie più della femmina questa è la lode più grande che si possa immaginare.

Noemi prese il bambino, se Io pose in grembo e gli fece da nutrice.

Boàz prende Rut e la fa sua moglie. Naomi prende il bambino e Io fa suo figlio.

Le vicine gli cercavano un nome e dicevano: "E nato un figlio a Noemi!". E lo chiamarono Obed. Egli fu il padre di lesse, padre di Davide.

Il nome del bambino, cosa abbastanza strana, viene dalle donne di Betlemme. Obed (colui che serve) servirà Naomi in quanto riscattatore. Il nome richiama quanto sua madre ha fatto per sua nonna e quanto farà il suo discendente, il re Davide, per il suo popolo. Dio, prendendosi cura di queste due dorme, si è occupato di tutto Israele. Obed è detto figlio di Naomi, scavalcando Rut, come Perez è figlio di Giuda, scavalcando Tamar. Matteo include sia Perez che Obed tra gli antenati di Gesù, In un momento decisivo della storia santa a condurre le danze sono le donne e in modo particolare un’israelita e una gentile. La storia santa è storia di parole e di alleanze.

Questa è la discendenza di Peres:

Le genealogie non sono solo noiosi e interminabili elenchi di nomi. Fondavano i rapporti fra le tribù, permettevano di risalire ai propri antenati, stabilivano legami tra membri dello stesso gruppo sociale. Dopo la tragica esperienza dell’esilio permisero agli esiliati di ricongiungersi nella terra promessa. Il prologo ci presenta la morte di Elimèlec e dei suoi figli Maclon e Chilion; l’epilogo è un inno alla vita che continua con la genealogia di Davide. La narrazione prende le mosse da una carestia e si conclude con una benedizione divina: come Abramo, Isacco e Giacobbe che per una carestia emigrarono in Egitto e in Filistea per tornare più ricchi di prima.

Peres generò Cheston, “Cheston generò Rana, Rana generò Amminadàb, Amminadàb generò Nacson, Nacson generò Salmon, Salmon generò Booz, Booz generò Obed, Obed generò lesse e lesse generò Davide.

Il punto d’arrivo della genealogia sono lesse e Davide, efratei di Betlemme (1 Samuele). Efrata e Betlemme sono legati alla morte di Rachele, la prima madre d’Israele a essere evocata dagli anziani di Betlemme. La bisnonna del re Davide è una straniera moabita. Del resto anche Giuseppe ebbe due figli da Asenat, figlia di Potifera, sacerdote egiziano. Giacobbe, padre di Giuseppe, riconobbe quei due figli come suoi (Genesi) e il più piccolo, Efraim, divenne l’antenato della dinastia d’Israele. Non stupisce che la bisavola di Davide non sia figlia d’Israele, si sa come vanno le cose presso tutti i popoli, ma colpisce che sia stato scritto un libro per dirlo. Rut è un libro fortemente polemico. L’elezione di Davide non è conseguenza di abili mosse politiche e militari. E’ invece il frutto delle scelte operate da Dio nei confronti di persone semplici e di scarsa importanza. Nei primi sedici versi Matteo colloca tre dozzine e mezzo di generazioni. Ci sono Boàz e anche Rut. Nel mezzo dell’elenco spiccano per contrasto tre donne. Racab è la prostituta di Gerico che salvò le spie mandate da Giosuè. Tamar è cananea, Rut è moabita, entrambe sono straniere del popolo del libro. Sposano ebrei, restano vedove senza figli, si prodigano per rimanere nella casa e nella fede d’Israele e daranno figli alla stirpe del Messia. Proprio come Betsabea e Maria. A ben guardare, prima di Maria, sono proprio Racab, Tamar e Rut i primi nomi femminili del Nuovo Testamento. Il finecorsa del mondo, l’ebreo Gesù, deve la sua messianicità a donne e per giunta straniere. La mescola genetica non è eccezione, ma risponde a volontà. La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli (Isaia).

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