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Il dialogo ebraico-cristiano – o cristiano-ebraico – non è più, da tempo, un’opzione; è una realtà. Esiste a molteplici livelli: da quello istituzionale o di vertice, tra autorità religiose, a quello di base, tra semplici fedeli e osservanti, passando attraverso un livello di studiosi e di accademici attivi in varie discipline. Non si fatica a vedere che esiste in Italia, come in molte altre parti del mondo – dagli Stati Uniti a Israele, dall’America Latina a quasi tutti i paesi del mondo occidentale – un articolato mondo del dialogo ebraico-cristiano, fatto di persone e associazioni, centri di studio e gruppi di volontari che lo vivono, lo animano, lo promuovono. A che scopo? Per far conoscere in modo corretto chi sono davvero gli ebrei e cosa sia il giudaismo odierno; per combattere il pregiudizio antigiudaico veicolato da una mentalità cristiana preconciliare; per promuovere un approccio ai testi sacri capace di apprezzare la vitalità delle interpretazioni ebraiche, senza espropriare quelle Scritture (e il loro senso) al mondo ebraico. Si tratta di un mondo vivo e vivace, non eterodiretto da nessuno ma che per osmosi, passione interiore e umili innesti si rinnova e si allarga di continuo.
Ora, è a questo movimento profetico e storicamente inedito che pensiamo nel momento in cui facciamo nascere Avinu, una nuova Rivista per il dialogo ebraico-cristiano. Il gruppo promotore è fatto di singoli individui che da anni frequentano e credono in questo dialogo. Costoro hanno sentito il bisogno di ritrovarsi e di progettare un nuovo strumento editoriale – con un’identica versione elettronica –che vuole farsi cassa di risonanza della costellazione che si riconosce nel principio e nella prassi del dialogo tra ebrei e cristiani, con un riguardo attento anche ai fratelli musulmani, che rappresentano la terza, grande diramazione della famiglia abramica. Uno strumento capace di stimolo e di valutazione critica, di sprone e di autoanalisi, ben sapendo che nessuna conquista o realizzazione nella storia umana può essere data per scontata o acquisita una volta per tutte.
Nella lingua biblica, l’ebraico, avinu significa “nostro Padre” o “Padre nostro”, espressione che ricorre nelle liturgie di entrambe le comunità; essa si riferisce anzitutto alla concezione che ebrei e cristiani hanno di Dio, che è al contempo Creatore del mondo e Padre amorevole per le sue creature. Il termine ‘padre’ è ovviamente usato in senso metaforico; potrebbe essere usato anche ‘madre’, ma occorre riconoscere che le nostre tradizioni sono storicamente collocate e culturalmente determinate; per tanto, nel definire il Divino come ‘padre’ non Lo si riduce né Lo si restringe sessisticamente nel genere maschile; si accetta piuttosto che la fede si esprima “nel linguaggio della storia”, cioè attraverso metafore e simboli comprensibili agli esseri umani, maschi e femmine alla pari. Dunque avinu è un concetto teologico comune alle diverse scuole di pensiero ebraico e cristiano, dai midrashim e dai Vangeli alle preghiere liturgiche. L’attributo ‘nostro padre’ è riservato, specie nella tradizione rabbinica, alle figure bibliche dei tre patriarchi: Avraham avinu è Abramo nostro padre, padre nella fede – come si legge anche in una epistola paolina (Romani 4,18) – così come avinu è Isacco e avinu è Giacobbe: tutti e tre, infatti, sono radici sante e padri di Israele, i cui meriti sono parimenti da condividere con le quattro matriarche: Sara, Rivka/Rebecca, Rachel/Rachele e Lea, radici sante e madri di Israele. Senza dimenticare la grande berakhah, la benedizione divina data ad Abramo con la promessa di diventare “padre di una moltitudine”.
Nelle pagine della rivista Avinu risuoneranno le parole e le riflessioni che da tempo si ascoltano nei chiostri del monastero di Camaldoli durante i colloqui ebraico-cristiani, che ivi si svolgono regolarmente a dicembre da oltre quarant’anni, rappresentando una tradizione dialogica specificamente italiana (a cui nel tempo hanno partecipato pure studiosi internazionali). Ma in Avinu vorremmo far convergere anche le ricerche e le elaborazioni scientifiche – sulle relazioni tra ebraismo e cristianesimo – di luoghi alti della cultura accademica: come il Centro card. Bea per gli Studi giudaici, dell’Università Gregoriana, o come altri istituti di ricerca teologica sparsi in Italia da Venezia a Palermo. Sinergie si creeranno con le storiche e meritorie “Amicizie ebraico-cristiane” (oggi riunite in una Federazione), la prima delle quali – quella di Firenze – ne ha generate altre in diverse città; Avinu vuole aprirsi anche a collaborazioni con altre testate, come il Bollettino dell’amicizia fiorentina e come la rivista Qol; vuole interagire con le attività interreligiose della Comunità di sant’Egidio, da sempre in prima linea sul fronte del dialogo interreligioso; con il gruppo di Ricordiamo Insieme, che a Roma tiene viva la memoria della deportazione degli ebrei ad Auschwitz; con i delegati delle singole diocesi ai rapporti con il mondo ebraico; e, non ultimo, con tutti i corsi e i docenti universitari che promuovono conoscenze e approfondimenti su materie ebraiche. Anche la rivista milanese Sefer, che dopo quarantacinque anni ha chiuso le pubblicazioni, in parte rivive nella nuova redazione.
La rivista Avinu scommette che la storia del dialogo ebraico-cristiano è forse soltanto una grande premessa a qualcosa che noi oggi non possiamo ancora vedere, o che non ci è dato prevedere. Ma possiamo crederci, e rimboccarci le maniche, perché le radici viventi non smettono di germogliare come le acque vive – maim chaim – non smettono di sgorgare dalla terra e rinnovarla.
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