II monachesimo cristiano colma il vuoto lasciato da una Chiesa che si adatta all’Impero. Poco alla volta l’esperienza religiosa finirà per acquistare un valore in sé a prescindere dalla relazione col mondo. Scrive Frei Betto: “L’ascesi non aveva più alcun firtto di carità o ripercussioni sociali e politiche. Era il solipsismo, una specie di narcisismo spirituale... (S. Agostino è) il primo dei figli di genitori separati che noi tutti, cristiani, ancora siamo: figli della tradizione unitaria ebraica e del dualismo greco... Molti conservano ancora l’idea che l’essere umano si trova diviso in due campi tra loro nemici: il corpo, che tende al peccato, e lo spirito, che tende alla grazia” (Mistica e spiritualità, Cittadella, Assisi 1995).
Il simbolismo verticale di unione con Dio viene messo in contrasto con il simbolismo orizzontale di un pathos per il mondo. Noi oggi viviamo una continua oscillazione tra questi due poli. Scrive ancora Betto: “Siamo la prima generazione a passare da un polo all’altro, è normale che non riusciamo a ottenere una sintesi in questa dialettica” (op. cit.). Oggi viviamo un conflitto tra i momenti forti di preghiera e di raccoglimento e quelli deboli di impegno e di vita mondana. L’integrazione tra questi due aspetti ci risulta faticosa e, a volte, impossibile.
Negli scritti dei mistici, quali Giovanni della Croce o Teresa d’Avila, le espressioni più dure sono proprio riservate alle sensazioni spirituali. La critica è rivolta alle visioni e alle rivelazioni. Scrive Leonardo Boff: “Non illudetevi. Il cammino che porta dentro se stessi è estremamente doloroso... Prendiamo l’esempio di S. Francesco d’Assisi. Solo dopo molta pazienza e molta lacerazione interiore (e anche fisica, con le stigmate) egli ebbe la sua trasfigurazione e poté cantare il Cantico delle creature, chiamandole tutte col nome di fratelli e sorelle… Il mistero cristiano è il mistero del Venerdì Santo e della Risurrezione. Non c’è Risurrezione senza Venerdì Santo” (op. cit.).
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