mercoledì 12 maggio 2004

Libertà religiosa (3/3)

 

La basilica del Santo Sepolcro sorge in un’area che, duemila anni fa, era esterna alle mura di Gerusalemme. Secondo la tradizione la località è il Golgota su cui venne crocifisso Gesù. Si tratta di un luogo estremamente importante per i cristiani. Ogni sera alle 7 e ogni mattina alle 4 i tre sacrestani latino, greco e armeno, attraverso una feritoia nel portone, passano una scaletta di legno e una chiave ai due musulmani che, per antico decreto, hanno il compito di aprire e chiudere il Santo Sepolcro. I cristiani di diversa confessione danno quotidianamente spettacolo contendendosi i luoghi santi in terra d’Israele e una famiglia di musulmani offre maggiori garanzie in proposito.

Per Vicino Oriente si intende l’area che copre Egitto, Israele, Palestina, Giordania, Libano, Siria, Iraq e, indirettamente, Armenia, Arabia Saudita, Turchia e Iran. Vi sono presenti una ventina di chiese equamente suddivise tra ortodosse, cattoliche e riformate. I cristiani sono pochi milioni e costituiscono solo qualche punto percentuale della popolazione totale. Fatta eccezione per i copti d’Egitto e i maroniti del Libano si tratta di una minoranza quasi senza potere. La situazione è assai disomogenea. La situazione civile delle minoranze cristiane in Israele e dei copti in Egitto, il rapporto chiesa/stato in Siria e in Arabia Saudita e la presenza organizzata dei cristiani in Iraq e nel Libano hanno davvero poco in comune tra loro. Complessivamente i cristiani in quest’area sono in netto calo. I massacri d’inizio secolo, degli armeni anzitutto, e il processo di islamizzazione, per conversione e matrimoni misti, ne sono le principali cause. Non bisogna tuttavia dimenticare la numerose guerre nell’area (Libano, Israele, Iran-Iraq, Golfo, ancora Iraq) e il differenziale demografico (i musulmani fanno più figli dei cristiani).

Per la legge islamica (sharia) i cristiani sono protetti (dhimmi). La categoria coranica di “gente del Libro” consente loro di praticare liberamente il culto, godere della propria attività di lavoro, essere sicuri della vita e dei propri beni. Lo statuto protetto non consente tuttavia la partecipazione ai governo, rende soggetti a una tassazione maggiore e non esenta da gesti umilianti che testimoniano un rango subalterno (le chiese devono essere più basse degli edifici islamici). I cristiani chiedono di poter passare dalla categoria di protetti a quella di cittadini (muwatana). Alcuni giuristi musulmani affermano che oggi i cristiani, in base alla storia e al diritto islamici, hanno diritto alla piena cittadinanza. Celebre resta la formula che il presidente egiziano Mubarak coniò per i copti d’Egitto: la religione è di Dio e la patria è di tutti.

Nello stato di Israele la presenza cristiana dopo il 1967 è soggetta a una vera e propria emorragia. Nemmeno la città di Gerusalemme fa eccezione. La società israeliana è attraversata da profonde divisioni ideologiche e da laceranti conflitti che toccano tutti gli strati e tutte le classi sociali. Il compromesso tra le dimensioni laica e religiosa dello stato vacilla sotto il peso della componente ortodossa che chiede una visione halakica (secondo i precetti) della vita nello stato ebraico. Il conflitto israelo/palestinese rende difficile la vita dei cristiani. La chiusura dei territori palestinesi e dei luoghi santi cristiani è frequente nei momenti di tensione. Secondo il sistema giuridico dell'impero ottomano, passato indenne attraverso il mandato britannico, le comunità cattoliche erano riconosciute di fatto ma non di diritto. Sono recenti lo scambio degli ambasciatori (1993) e l’accordo sulla personalità giuridica delle istituzioni vaticane (1997).

La tentazione dei cristiani nel Vicino Oriente è la chiusura o, più spesso, la fuga. In particolare i cristiani arabi emigrano sempre più verso Stati Uniti, Canada, Australia, America Latina ed Europa. Si spiega anche così la scelta del Vaticano di affidare al vescovo Jean-Baptiste Gourion la cura dei cattolici di espressione ebraica. Del resto la nomina del francescano Pierbattista Pizzaballa a nuovo custode di Terra Santa è un chiaro contrappeso alla tendenza filopalestinese del patriarcato latino di Gerusalemme retto dall'arabo Michel Sabbah. I neocatecumenali filoisraeliani figurano tra i cristiani più attivi oggi in Israele e sono alcune centinaia di migliaia i cristiani arrivati in Israele negli anni novanta dalla Russia e dai paesi slavi.

È il 23 settembre 1997. Nella notte, in un quartiere alla periferia di Algeri, vengono uccise duecento persone. Un fotografo algerino dell'Agence Trance Presse ritrae una donna alla quale sono stati uccisi otto figli. La foto farà il giro del mondo e ispirerà un articolo dello scrittore Tahar Ben Jalloun intitolato: "Quella madonna...". Due settimane prima un'aggressione simile era costata la vita ad ottanta persone e aveva fatto sessanta feriti. La dinamica è sempre la stessa. I commando fanno irruzione in tarda serata, armati di kalashnikov, spade e asce, e lasciano dietro di sé i cadaveri delle vittime trucidate. Perché?

Dopo l’indipendenza dalla Francia (1962) il Fronte di liberazione nazionale (FLN), partito unico d’Algeria, si stabilisce al governo. Trent’anni dopo, alle elezioni amministrative (1990) e legislative (1991), vince il Fronte islamico di salvezza (FIS). Alle urne si sono recati meno della metà degli elettori. Lo spirito degli anni Sessanta è lontano. L’anelito a una riconquista della sovranità nazionale andava di pari passo con aspirazioni democratiche. Nel corso del tempo la quasi totalità dei dirigenti della guerra di liberazione finirono assassinati in faide fratricide. S’impose un regime militare, in principio sotto influenza sovietica, e la corruzione ingenerò sfiducia e delusione generalizzate. La speranza in un rapido decollo legato alle risorse naturali del paese dovette misurarsi con un divario tecnologico sempre più profondo rispetto all’Occidente che condusse alla dipendenza. Negli anni Novanta i militari, allarmati dai risultati elettorali, annullano le elezioni, sciolgono il FIS, imprigionano i suoi leader e proclamano lo stato di emergenza. La strage del 23 settembre 1997 ricorda, per la loro crudeltà, i terribili massacri compiuti dall’esercito durante il periodo 1993-1995 contro le famiglie degli integralisti rifugiati in montagna. L’Esercito islamico di salvezza (AIS), braccio armato del FIS, scatena il terrorismo.

Nel frattempo il generale Zeroual diviene presidente dell’Algeria (1994) e, pur tra le denunce di brogli degli osservatori internazionali, le elezioni successive (1995 e 1997) lo riconfermano. In Europa e nel mondo esplode la questione algerina: intervenire o no? e dove e come intervenire? Tornano alla mente i paracadutisti della legione straniera del generale Massu resi noti dal film “La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo. Che fare allora? dialogare? Il quotidiano indipendente algerino El Watan scrive che il mondo intero punisce i criminali e allora perché gli algerini dovrebbero discutere con stupratori di donne e assassini di bambini? La Piattaforma di Roma (1994) promossa dalla Comunità di Sant’Egidio è l’unico documento politico firmato dalla maggioranza dei partiti compreso il FIS.

Ci può essere libertà religiosa in un paese cosi tormentato? Nel 1993 comincia a circolare notizia che tutti gli stranieri rimasti in Algeria sarebbero stati uccisi. La maggioranza della comunità cristiana, frutto di immigrazione, se ne va. Tra coloro che rimangono nel 1996 vengono uccisi monsignor Claverie, vescovo di Orano, e sette monaci trappisti di Thibirine. L’Arcivescovo di Algeri, monsignor Theissier, ricorda così i funerali di mons. Claverie: “Celebrammo le esequie nella cattedrale di Orano: la metà dei presenti era musulmana, ma ha avuto il coraggio di essere lì con noi. Prima della crisi, i musulmani non sarebbero venuti in chiesa per partecipare a una celebrazione. Ma l’assommarsi di queste prove li ha fatti avvicinare a noi". E’ il 1997 quando Theissier fa il seguente punto della situazione: “La libertà di culto e di riunione, di circolazione, è reale in Algeria. In giugno, abbiamo tenuto l’assemblea della Conferenza episcopale con i nove vescovi... Anche la Caritas lavora con molte associazioni algerine... C’è una popolazione di 30 milioni di persone che fa il proprio lavoro, che vive la propria vita familiare, che studia… Non si può infatti dire che la lotta è tra cristiani e musulmani. La crisi non è una crisi tra cristiani e musulmani, me è di tipo sociale e tutta la società algerina è angosciata a causa di questa violenza: noi ci troviamo con i nostri amici algerini sotto questa stessa violenza… Noi abbiamo deciso di rimanere per fedeltà all’amicizia… Vogliamo essere la chiesa del popolo musulmano, una chiesa solidale”.

Fratel Christian de Chergé, uno dei sette monaci trappisti, scrive: “L’Algeria e l’islam, per me, sono un corpo e un’anima… Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: dica adesso quel che ne pensa! Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità. Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze… E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! Insc’Allah“.

martedì 11 maggio 2004

Libertà religiosa (2/3)

 

Nonostante la recente visita in Russia di monsignor Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, la relazione tra la chiesa ortodossa russa e quella cattolica rimane difficile. Alle accuse di proselitismo di Aleksij II, il patriarca di Mosca, replicano alcune voci cattoliche che lamentano la mancanza di libertà religiosa in Russia. Per comprendere meglio il clima in cui sono maturate queste difficoltà occorre ripercorrere la storia dall’evangelizzazione della Russia al presente. Il tentativo è di favorire reazioni non legate all’umore del momento o allo scandalo di notizie urlate e frammentarie, ma leggere quanto sta accadendo con sguardo più ampio e disteso.

Nell’anno 864 d.C. l’imperatore d’Oriente inviò Cirillo e Metodio a evangelizzare la Moravia. La Bibbia e l’officiatura di rito bizantino vennero tradotte in paleoslavo. Nel 988 il principe di Kiev scelse il cristianesimo come religione della Rus’ per la bellezza della liturgia e l’accessibilità della lingua. Nel 1589 la Chiesa russa ottenne l’indipendenza (autocefalia) da Costantinopoli. Nel 1593 il metropolita Giobbe venne eletto primo Patriarca di Mosca e di tutte le Russie. Il patriarcato venne abolito nel 1721 da Pietro il Grande per essere sostituito dal Santo Sinodo guidato da un funzionario di Stato. Venne ristabilito solo nel 1917, dopo la Rivoluzione d’Ottobre, allorché un concilio di vescovi, monaci e laici, si riunì a Mosca ed elesse Tikhon come Patriarca. Il “Vaticano II russo” decretò l’elezione dei vescovi da patte di clero e laici, consentì l’utilizzo del russo nelle liturgie, affrontò questioni quali la riconciliazione con le altre chiese e il rinnovamento del monachesimo.

L’anno successivo, a concilio ancora in corso, Lenin decretò la separazione della Chiesa dallo Stato. Prima della rivoluzione la Chiesa ortodossa era il più grande proprietario di terreni e di immobili dopo lo Zar. I bolscevichi sequestrarono tutto: monasteri, chiese, scuole, palazzi, latifondi. I vertici della Chiesa russa si spaccarono sulle relazioni con il potere. La maggioranza dei vescovi e dei preti rimase in patria subendo una tremenda persecuzione. Un gruppo di vescovi accusò il patriarca di collusione con il potere e riparò a Costantinopoli. Nacque così la Chiesa ortodossa russa all’estero con sede a New York. Nel 1925, alla morte di Thikon, il metropolita Sergio si autoproclamò Patriarca e due anni dopo dichiarò lealtà al potere sovietico. La politica russa non mutò e dalla prima alla seconda guerra mondiale molte chiese furono chiuse e molti preti deportati e uccisi. L’alternativa per i teologi era tra il campo di concentramento (Florenskij) o la fuga (Berdjaev e Bulgàkov). Quando Hitler invase l’Urss il patriarca Sergio richiamò i russi alla difesa della patria. Nel 1946 la Chiesa greco-cattolica, definita spregiativamente uniate perché composta da ortodossi che nel frattempo si sono uniti a Roma mantenendo il rito orientale, fu messa fuori legge da Stalin.

Nel 1990, in un periodo di ricostruzione (perestrojka) e di trasparenza (glasnost) il presidente russo Gorbaciov fece approvare una legge per la libertà religiosa sul modello occidentale. Nello stesso anno il metropolita di Leningrado Aleksij II divenne l’attuale Patriarca di Mosca. In questo clima disteso cattolici e ortodossi firmarono in Libano una dichiarazione comune nota come Documento di Balamand che ripropose la terminologia di Chiese sorelle. Oltre a condannare l’uniatismo come metodo ecumenico, il documento del 1993 affermava che “la libertà religiosa sarebbe violata se, con il pretesto dell’aiuto finanziario, si attirassero a sé i fedeli dell’altra chiesa, ad esempio promettendo loro l’educazione e i vantaggi materiali che mancassero nella loro chiesa di appartenenza”. Nello stesso anno la Legge sulla libertà di coscienza e sulle associazioni religiose venne bloccata dal veto di Eltsin. Venne approvata dall’Assemblea federale solo nel 1997.

Il testo si basa sul fatto che la Federazione russa è uno stato laico, ma riconosce lo speciale ruolo dell’ortodossia nella storia della Russia, pur nel rispetto del cristianesimo, dell’islam, del buddhismo, dell’ebraismo e delle altre religioni, che costituiscono una parte ineliminabile del patrimonio storico dei popoli della Russia, L’ortodossia è qualificata come una parte imprescindibile dell’eredità storica, spirituale e culturale di tutta la Russia. Il cattolicesimo non è menzionato perché sottinteso. Il termine cristianesimo presuppone anche i cattolici e, nello stesso tempo, non offre alla Chiesa di Roma la menzione e uno status privilegiato. La definizione di confessione tradizionale ha una rilevanza pratica, non solo simbolica, perché soltanto le religioni che possono vantarla godono di completa libertà, autonomia e totali diritti nell’esercizio del loro culto. L’appellativo di russo può essere accordato solo a quelle associazioni religiose che esistevano sul piano legale nel 1947 sotto Stalin. L’alternativa è il riconoscimento come associazione locale attraverso un documento che confermi la loro esistenza sul territorio dai tempi di Brezhnev (circa vent’anni fa). In tal caso il gruppo dei fedeli formatosi in una certa regione del paese non può tuttavia svolgere la propria missione altrove.

Del resto le Comunità parrocchiali ortodosse in Italia sono associazioni che non godono né di un concordato né di un’intesa. Manca loro un unico punto di riferimento perché dipendono da giurisdizioni canoniche diverse. D’altro canto in Italia tali comunità svolgono la loro attività pastorale, liturgica ed ecumenica in piena libertà religiosa. Ma non è questo il punto. Nel 1997, qualche giorno prima dell’Assemblea ecumenica europea di Graz, era previsto un incontro tra papa Giovanni Paolo II e il patriarca Aleksij II, il primo nella storia delle due chiese. Una decina di giorni prima il Santo Sinodo annullò rincontro accusando la Segreteria di stato vaticana di aver apportato delle correzioni al comunicato finale precedentemente concordato. A Graz il patriarca russo Aleksij accusò il mondo cattolico di proselitismo. Perché? Spesso persone ed enti cristiani non ortodossi portano aiuti materiali in Russia in accordo con gli uniati e senza coinvolgere la Chiesa ortodossa locale. Questa non si è mai posta il problema di costruire scuole, ospedali o centri di assistenza, poiché in Russia questo compito è sempre stato svolto dallo stato. Esemplare è la storia di Sasha, un ragazzo di strada fuggito di casa da piccolo dopo aver lasciato la scuola a dodici anni, perché il padre era spesso ubriaco e lo prendeva a cinghiate. Sasha viveva, con altri sette fratelli e i genitori, in una povera casetta di legno (dacia) nei dintorni di San Pietroburgo. All’età di ventun anni trovò finalmente uno scopo di vita collaborando alle attività di un centro dell’Esercito della Salvezza, un’organizzazione cristiana britannica di stampo vittoriano. Quello di Sasha è un tipico caso di conversione nella Russia del dopo ’89: la fede tradizionale ortodossa viene “scambiata” per l’assistenza sociale e sanitaria.

Il discorso della montagna (Matteo 5) di Gesù di Nazaret

  LE BEATITUDINI (PREMESSA ALLE SUPERTESI) Il rotolo di Qumran 4Q525 2 II, 1-6 ha 9 beatitudini, di cui solo le ultime 5 sono conserva...