martedì 14 giugno 2022


Nello shir ha-shirim, il cantico dei cantici dall’erotismo esplicito, il nome di Dio non compare. (L’unico altro caso di assenza del tetragramma JHWH nella bibbia ebraica è il libro di Ester.) Quello che rabbi ‘Aqiva definì il santo dei santi entrò nel canone per ultimo e divenne scrittura sacra solo nel II secolo dell’era volgare.

L’autore (ignoto) del cantico dei cantici attinge da una lirica amorosa egizia l’espressione “mio amato che turba il mio cuore” e dalla letteratura sumerica il termine “mio fratello”, il letto che stilla miele, il giardino e il chiavistello della porta.

La vigna e le volpi che la saccheggiano è un’immagine del poeta Teocrito. La riccioluta piccola e nera, dalla pelle più dolce del velluto, compare negli epigrammi di Filodemo di Gàdara. Il color del miele della donna scurita dal sole si trova nell’antologia palatina nei versi di Meleagro.

Dello stesso Meleagro è il pensiero dell’amore forte come la morte. Amore e sesso sono forze ambivalenti, bipolari, creatrici e distruttrici insieme. Per questo le leggi sacerdotali (Levitico 18 e 20) ponevano dei limiti di comportamento alla minoranza ebraica dell’Egitto romano.

La prima parola greca adottata dalla lingua ebraica, la portantina di Salomone detta appiryon (dal greco phoreion) tradisce il genere e l’ispirazione ellenistici del cantico. Un secolo prima Qohelet, un intellettuale alla corte di Gerusalemme, si era confrontato in ebraico con il pensiero di stoici, cinici ed epicurei. Così il cantico, come proverbi e qohelet, venne attribuito al saggio re Salomone.

Furono rabbi ‘Aqiva e il padre della chiesa Origene, nel secondo e terzo secolo dopo l’era volgare, a leggere lo shir ha shirim come un’allegoria. La coppia fu, di volta in volta, JHWH e il popolo d’Israele, Cristo (il verbo divino incarnato) e la Chiesa, Dio e l’anima umana. L’espressione le sue fiamme (shalhevoteah) fu modificata, inserendo uno spazio, in fiamma di Dio (shalshevet Yah).

Eppure il mito delle nozze sacre tra la dea Inanna e il pastore Dumuzi, simboli dell’armonia tra il cielo e la terra, era nata tra i fiumi Tigri ed Eufrate diverranno. Millenni più tardi, gli dei Ishtar e Tammuz, saranno adorati a Babilonia e in Siria, Fenicia e Palestina. Per un periodo ciò avvenne persino nel tempio di Gerusalemme (Ezechiele 8,14-15). Diverranno Adone e Afrodite nel mondo ellenistico e quest’ultima sarà la Venere romana.

Il cantico trasforma l’eros cosmico in un semplice incontro di una coppia di umani. Nessuna sacralizzazione del sesso. Dio non entra nella trama, resta solo un elemento della scenografia.

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