venerdì 28 febbraio 2025

Paolo di Tarso secondo il pensiero ebraico (di prossima pubblicazione)


La direzione di marcia, nell’ambito delle relazioni tra mondo ebraico e mondo cristiano, viene costruita a piccoli passi (si spera in avanti) e va colta nei singoli segni e segnali che i protagonisti, gli attori di queste relazioni, pongono uno accanto all’altro nel cammino della mutua comprensione e della stima, al fine di lasciarsi per sempre alle spalle le dolorose epoche dell’ignoranza e del reciproco disprezzo. In questi anni sono arrivati diversi segnali incoraggianti, nonostante qualche frizione a seguito di una catechesi papale sulla Lettera ai Galati di Paolo incentrata sui giudizi dell’apostolo circa il valore della Torà. A volte, se ben gestite, queste frizioni servono a parlarsi direttamente, a dissipare ombre e chiarire le diverse prospettive, soprattutto ad approfondire e studiare di più i testi comuni alle due tradizioni religiose, ma anche quelli controversi che hanno fatto la storia del conflitto tra ebraismo e cristianesimo, come ad esempio certi ‘capitoli’ paolini, avendo l’opportunità di studiarli insieme, ebrei e cristiani. Per questo è nata l’idea di raccogliere una serie di articoli dedicati a Paolo di Tarso, “apostolo dei gentili” come dice la tradizione cristiana, e al suo legame storico con il mondo ebraico, ricontestualizzandolo nel I secolo e soppesando per l’oggi la storia della sua ricezione nonché le interpretazioni che di questo ‘autore neotestamentario’ continuamente si dànno da parte di studiosi sia ebrei sia cristiani.

Paolo è finalmente al centro del dialogo ebraico-cristiano. A lungo, diciamolo francamente, ne è stato escluso come una presenza troppo imbarazzante, un ostacolo troppo ingombrante per pensare di poterlo rimuovere. La visione tradizionale cristiana ne faceva un ‘convertito’ e quindi un apostata del giudaismo, se non il nemico giurato della Torah. Come tale lo ha trattato (e ignorato) anche la tradizione ebraica (almeno fino a tempi recentissimi con i primi tentativi di una rilettura ebraica della sua figura). Ma Paolo non si è mai convertito. Al pari di Gesù è nato, vissuto e morto da ebreo, per la semplice ragione che nel primo secolo il ‘cristianesimo’ ancora non esisteva come religione autonoma e distinta dal giudaismo, ma si presentava come movimento apocalittico e messianico all’interno del giudaismo. Ciò che Paolo ‘rigetta’ sulla via di Damasco non è il giudaismo ma una certa visione zelota del giudaismo che lo aveva portato a perseguitare i seguaci di Gesù. L’esperienza di Paolo (per quanto singolare) appartiene alla dialettica interna dei molti gruppi e movimenti presenti nel giudaismo della sua epoca, non diversamente da un cristiano di oggi che all’interno del cristianesimo passi da una denominazione cristiana ad un’altra o da un ebreo di oggi che passi da una denominazione ebraica ad un’altra. Possiamo al massimo parlare di Paolo come di un ex-fariseo ma questo non lo fa un ex-ebreo.

"Zia" Silvia

  "Ti ricordi, Fabio, quando andavamo alle lezioni di Paolo De Benedetti alla facoltà teologica di Milano? Eravamo io, te, il salumiere...