Carissimi,
ho letto stamane di questa “Lettera al popolo di Dio” in preparazione al Sinodo:
Come ben sapete, la locuzione “popolo di Dio” nelle Scritture si riferisce all’Israele biblico, mentre noi cristiani e in generale tutti gli altri siamo le “genti”.
In Italia, ma soprattutto a Milano, è stato fatto un lungo lavoro ecumenico e interreligioso per arrivare a chiarire e distinguere i due concetti.
Ovviamente tale distinzione non intende essere un privilegio per gli ebrei, quanto piuttosto ribadire ai cristiani il rifiuto della teologia della sostituzione, secondo cui i privilegiati saremmo appunto noi.
Tutte le volte che diciamo “popolo di Dio” in riferimento alla chiesa, siamo sostituzionisti senza volerlo, a “nostra insaputa” (sic).
Il Catechismo della Chiesa cattolica che cita il testo fondamentale (1 Pt 2,9) è una collana di versetti biblici riferiti a Israele: «la stirpe eletta (Isaia 43,20), il sacerdozio regale, la nazione santa (Esodo, 19,6)» che vuole estendere – nel secondo secolo – ai credenti gentili in Gesù messia la condizione che è propria del popolo ebraico.
La terminologia che usiamo esprime la nostra coscienza di questa “aggiunta/adozione”: basterebbe scrivere “lettera alle genti che credono in Dio” al posto di “lettera al popolo di Dio”, oppure dire “terra del Santo” anziché “Terrasanta”, o ancora “Scritture ebraiche/cristiane” anziché “Antico/Nuovo Testamento”.
Basterebbe davvero poco a dare di noi un’immagine più fedele all’evangelo.
Vedere che nella chiesa cattolica si usa ancora questa terminologia mi disturba e sentivo il dovere di farlo presente.
Buona giornata,
Fabio
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