giovedì 19 ottobre 2023

Ricominciare

 

Cominciamo dall’inizio. Apriamo la Bibbia CEI e leggiamo: “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Genesi 1,1). Dovendo ripartire, lo facciamo da Dio, dalla sua parola. Due sembrano le cose da cui ricominciare: il cielo e la terra. Suggestivo. Anche troppo. Quasi noi esseri umani fossimo padroni del cielo e della terra. E del resto, grazie alla scienza e alla tecnica, è così che effettivamente ci sentiamo. Se non che ci ritroviamo una terra sempre più precaria (crisi economica e climatica, guerre, migrazioni forzate) e un cielo ormai lontano (dov’è Dio?).

La tradizione ebraica legge quel versetto della Torah in un altro modo. Scrive Rashì (mitico commentatore medioevale): “Questo testo non dice altro che: Interpretami!”. Desidera essere interpretato. La tradizione ebraica lo interpreta. In ebraico quel “in principio” è “be-reshit”. La preposizione “be” può significare “in” ma anche “per amore di”. Il sostantivo “reshit” può significare “principio” ma anche “primizia”. Quindi possiamo anche leggere quel versetto “per amore della primizia”. Chi è la primizia di Dio? E’ il popolo d’Israele che Geremia chiama la “primizia del suo raccolto” (2,3). Da quando Israele è la primizia di Dio? Da quando ha accettato la Torah che i Proverbi chiamano “principio della sua via” (8,22). Della via di Dio.

Ma per comprendere l’inizio della Torah occorre fare un passo in più. Continua la traduzione CEI: “La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Genesi 1,2). Scrive Rashì: “Il testo non vuole illustrare l’ordine degli atti della creazione, dicendo che il cielo e la terra furono creati prima” di tutto il resto “perché il termine reshit nella Scrittura si trova sempre in connessione grammaticale con la parola che lo segue”. E fa degli esempi da Geremia, Osea, Genesi e Deuteronomio, tali per cui quel “in principio Dio creò” si dovrebbe tradurre invece “al principio del creare di Dio”. Quindi, come l’ebraista Paolo De Benedetti amava ripetere, dovremmo leggere così: “Al principio del creare Dio il cielo e la terra, la terra era turbamento e vuoto (tohu-wa-bohu), le tenebre erano sulla superficie dell’abisso e l’alito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque”.

Per convincerci di questo Rashì fa altri esempi da Giobbe, Isaia e Amos, in cui la traduzione è simile a quella della CEI, ma il soggetto resta sottinteso. Quindi il primo versetto avrebbe dovuto essere: “In principio creò il cielo e la terra”. Senza la parola “Dio”. Ma in ebraico il soggetto c’è: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Quel primo versetto è dunque in stato “costrutto” con il secondo, è una semplice premessa, un incipit al racconto della creazione.

Se dunque ha ragione Rashì, al principio della creazione cosa c’era? Non certo il nulla: c’erano le tenebre, c’era l’abisso e soprattutto c’erano le acque. Scrive Rashì: “Di conseguenza si deve concludere che le acque esistevano prima della terra. Inoltre i cieli furono creati con il fuoco e con l’acqua”. La parola ebraica shamaim (cieli) è infatti composta da ‘esh (fuoco) e maim (acqua). Ancora Rashì: “la Scrittura non ha rivelato quando ebbe luogo la creazione delle acque… perciò si deve riconoscere che il testo non insegna nulla sull’ordine delle cose create prima e create dopo”. Ma soprattutto: cosa aleggiava sulla superficie delle acque? Lo spirito di Dio, l’alito della bocca del Santo, “come una colomba aleggia sopra il nido”.

Cosa ci insegna tutto questo? Viviamo in un’epoca storica in cui regnano le tenebre (crisi economica e climatica, guerre, migrazioni forzate), in cui torna ad affacciarsi l’abisso (quell’incubo nucleare che pensavamo di esserci lasciati alle spalle con il nuovo millennio), in cui le acque da fonte di vita vengono meno (siccità) per tramutarsi poi in grave minaccia (alluvioni, inondazioni). Tutto ciò ci procura tohu-wa-bohu (turbamento e vuoto) interiore. Da dove dunque possiamo ripartire? Dall’alito di Dio, dalla sua parola, per dare a Dio l’opportunità di un nuovo inizio, una chance di riprendere in mano la sua creazione prima che sia distrutta.

Perché la creazione - e Israele come controparte dell’alleanza sinaitica lo ricorda costantemente anche a Dio stesso - è luce oltre che tenebre, è cielo che argina le acque, è terra che tiene a bada i mari, sono erbe e alberi che danno frutti, è sole luna e stelle che ci accompagnano nel tempo, sono i viventi chiamati a moltiplicarsi, sono gli umani fatti a immagine di Dio chiamati a fraternizzare tra loro, e tutto ciò è cosa molto buona.

martedì 17 ottobre 2023

Lettera al "popolo di Dio"?


 

Carissimi,

ho letto stamane di questa “Lettera al popolo di Dio” in preparazione al Sinodo:

 

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2023-10/sinodo-modifiche-calendario-lettera-popolo-di-dio.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterVN-IT

 

Come ben sapete, la locuzione “popolo di Dio” nelle Scritture si riferisce all’Israele biblico, mentre noi cristiani e in generale tutti gli altri siamo le “genti”.

In Italia, ma soprattutto a Milano, è stato fatto un lungo lavoro ecumenico e interreligioso per arrivare a chiarire e distinguere i due concetti.

Ovviamente tale distinzione non intende essere un privilegio per gli ebrei, quanto piuttosto ribadire ai cristiani il rifiuto della teologia della sostituzione, secondo cui i privilegiati saremmo appunto noi.

Tutte le volte che diciamo “popolo di Dio” in riferimento alla chiesa, siamo sostituzionisti senza volerlo, a “nostra insaputa” (sic).

Il Catechismo della Chiesa cattolica che cita il testo fondamentale (1 Pt 2,9) è una collana di versetti biblici riferiti a Israele: «la stirpe eletta (Isaia 43,20), il sacerdozio regale, la nazione santa (Esodo, 19,6)» che vuole estendere – nel secondo secolo – ai credenti gentili in Gesù messia la condizione che è propria del popolo ebraico.

La terminologia che usiamo esprime la nostra coscienza di questa “aggiunta/adozione”: basterebbe scrivere “lettera alle genti che credono in Dio” al posto di “lettera al popolo di Dio”, oppure dire “terra del Santo” anziché “Terrasanta”, o ancora “Scritture ebraiche/cristiane” anziché “Antico/Nuovo Testamento”.

Basterebbe davvero poco a dare di noi un’immagine più fedele all’evangelo.

Vedere che nella chiesa cattolica si usa ancora questa terminologia mi disturba e sentivo il dovere di farlo presente.

Buona giornata,

Fabio

 

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