Quanto a me, io do a te, più che ai tuoi fratelli, un dorso di monte, che io ho conquistato (Genesi 48,22)
mercoledì 30 ottobre 2019
Il Gesù di Jules Isaac
Jules Isaac (1877-1963) è uno storico ebreo francese, nato a Rennes in una famiglia laica di tradizione militare. Nonostante sia rimasto orfano durante l’adolescenza, studia nelle migliori scuole di Parigi. Sposato e padre di tre figli, per due anni e mezzo partecipa alla prima guerra mondiale. In seguito, come docente di storia all’università, si impegna nella riconciliazione di francesi e tedeschi. Con le leggi razziali del governo di Vichy viene espulso dalla scuola - i suoi libri vengono messi all’indice - e radiato dall’albo della Legione d’Onore. Ridotto in miseria si ritira in Provenza e poi nel Clermont-Ferrand. La moglie, due figli e un genero vengono deportati ad Auschwitz e solo il figlio maschio farà ritorno. Da questo momento lo storico diventa biblista e si accosta all’esegesi e alla teologia. Una partigiana lo nasconde a Levroux e gli procura i libri dai conventi vicini. Lo scopo della sua vita diventa far conoscere Gesù agli ebrei e Israele ai cristiani.
Il Gesù di Jules Isaac è pressoché tutto nell’opera Jésus et Israël, iniziata nel ‘43 e terminata nel ’46 con il supporto dei quattro grandi Commentaires del domenicano Albert Marie Henry Lagrange. L’opera è articolata in ventuno capitoli che partono ciascuno da un luogo comune della cristianità e lo raffrontano con la storia e la Bibbia. Nella premessa Jules Isaac ammette di non essere un esegeta e tuttavia rivendica la scientificità del suo lavoro, svolto con passione per Israele e lo stesso Gesù, figlio del suo popolo. L’originale francese (Jules Isaac, Jésus et Israël, Paris, Michel, 1948) viene tradotto in italiano da Ebe Castelfranchi Finzi (Gesù e Israele, Nardini, 1976) e vede una seconda edizione (Marietti 1820, Genova, 2001).
Nell’agosto del 1947 un gruppo di pastori luterani ed evangelici, teologi cattolici ed ebrei impegnati, sotto la guida di Jules Isaac, trasformano Jésus et Israël nei famosi Dieci Punti di Seelisberg, dal nome della cittadina svizzera che li ospita. L’anno successivo Jules Isaac fonda l'Amitié Judéo-Chrétienne de France che nel 1950 ispira la nascita dell’Amicizia ebraico-cristiana di Firenze. Nel 1949 Jules Isaac, durante un’udienza pubblica, consegna di persona a papa Pio XII i Dieci Punti. Nel 1960, dopo che papa Giovanni XXIII aveva tolto l’aggettivo perfidis dalla preghiera per gli ebrei del Venerdì santo, Jules Isaac lo incontra e gli consegna un dossier per la riforma della catechesi su Israele. Sarà il cardinale Agostino Bea a occuparsene fino a giungere, nel 1965, alla stesura del documento Nostra Aetate del Concilio Vaticano II.
Gesù per Jules Isaac è un artigiano ebreo, lavoratore del legno: ora carpentiere, ora falegname, ora costruttore di carri, aratri e gioghi per buoi. Secondo la saggezza ebraica l’artigiano intento al suo lavoro non ha bisogno di alzarsi in piedi davanti al più autorevole dei dottori. Giuseppe e Maria, pur non potendo procurarsi un agnello per la presentazione di Gesù al tempio, si recano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Gesù viene circonciso otto giorni dopo la sua nascita, come tutti i bambini ebrei. Entra così nel patto di Dio con Israele, come richiesto ad Abramo e alla sua discendenza. Sarà il cosiddetto “concilio di Gerusalemme” (Atti 15) a rendere facoltativa la circoncisione per i gentili che intendevano farsi cristiani. Per gli ebrei costoro saranno “tementi Dio” e non rientreranno nella categoria minoritaria dei proseliti.
Gesù è un nome molto comune per l’epoca. Deriva dall’ebraico Jehoshua (Dio salva) come l’appellativo Cristo deriva da Mashiach (unto da Dio). Il Messia, secondo una tradizione popolare, discende dal re Davide. I vangeli sinottici lo attestano nelle genealogie, passando tuttavia attraverso Giuseppe, così come fa il resto del Nuovo Testamento. Gesù non lo afferma mai direttamente. Il Nuovo Testamento è scritto in greco, ma gli ebrei al tempo di Gesù parlano aramaico, una lingua semitica che per le relazioni commerciali dalla Siria si è diffusa in tutta l’Asia occidentale. Gesù parla certamente aramaico, legge l’ebraico e, da uomo di campagna (Galilea), non è detto conosca il greco diffuso nelle città. Il vescovo Papia nel II secolo riferirà di una raccolta di detti di Gesù in aramaico. Nei vangeli restano alcune parole di questa lingua imparentata con l’ebraico.
Gesù ogni sabato va in sinagoga per pregare, cantare, ascoltare le letture e il commento alla Torah e ai Profeti. Qui riceve l’insegnamento dei maestri che forma la sua personalità. Nella modesta sinagoga di Cafarnao, sulla rive del lago di Tiberiade, il Vangelo è predicato per la prima volta. Il Nuovo Testamento testimonia la libera usanza di prendere la parola in sinagoga, così come l’uso della predicazione all’aria aperta e sotto i portici del tempio o in qualche sala attigua. Gesù si reca anche da adulto nel tempio di Gerusalemme. I Vangeli attestano la sua osservanza di alcuni precetti come la preghiera, le frange sul mantello, la benedizione del pasto, la celebrazione della Pasqua, l’osservanza del sabato in contrasto alla lettera della Torah e in nome dello spirito del precetto. Gesù invita ripetutamente a osservare i comandamenti e a dar loro pienezza con un’adesione non formale. Da un lato egli afferma che neppure un apice della legge di Dio è destinato a perdersi, dall’altro si oppone alle tradizioni umane e alle esagerazioni mistiche. Gesù è nato sotto la Torah, ha vissuto secondo la Torah ed è rimasto ebreo fino alla sua morte. Lo testimoniano anche gli ebrei che per primi credono in lui e continuano a frequentare il tempio e a predicarlo nelle sinagoghe osservando i precetti.
Jules Isaac accosta la tentazione di Gesù nel deserto ai quaranta giorni di digiuno di Mosè e di Elia. Quindi confronta lo stile e i contenuti delle beatitudini evangeliche con i Salmi e altri testi biblici. E ancora trova accordo di stile e di contenuti tra la preghiera di Gesù e preghiere ebraiche come lo Shemà Israel, le Diciotto benedizioni e il Qaddish. Infine riscontra affinità e contrasti con l’essenismo e sintonia con la letteratura apocalittica e rabbinica contemporanea. Ne conclude che nei Vangeli c’è la più pura tradizione palestinese e semitica dell’epoca.
Al tempo di Gesù la maggior parte del popolo ebraico non vive più in Palestina. Il ministero pubblico di Gesù si svolge in gran parte in Galilea e solo per un anno o due in Giudea. Anche le località toccate dalla sua predicazione sono meno della metà di quelle conosciute in Galilea e quasi solo Gerusalemme e Gerico in Giudea. Jules Isaac ne deduce che il popolo ebraico nella sua totalità non ha conosciuto Gesù e quindi tanto meno può averlo rinnegato. Quindi mette in fila i testi evangelici in cui Gesù viene accolto favorevolmente o respinto con ostilità. I primi sono la regola, i secondi un’eccezione. Non c’è distinzione tra il Gesù taumaturgo e il Messia: i miracoli attirano le folle e le parole le entusiasmano. Solo Giovanni – che Marco chiama Boanerges (figlio del tuono) – nel suo vangelo “folgora” gli ebrei come avversari di Gesù. Il Nazareno gode delle simpatie popolari fino al momento della passione. Le invettive contro alcune città della Galilea e Gerusalemme, presenti solo in Matteo, hanno come bersaglio le autorità religiose. A deludere Gesù è l’orgoglio dell’intelletto, soprattutto della sua Cafarnao, e non il disordine morale delle “pecore smarrite”.
La Bibbia propone due immagini di Messia: il glorioso liberatore d’Israele e il salvatore mandato al supplizio. Caso a parte è il servo sofferente del profeta Isaia, che non è il Messia, ma il popolo d’Israele. Tra le due immagini bibliche del Messia esiste un’opposizione irriducibile. È Gesù che le fa coincidere col suo sangue e impone ai discepoli di mantenere il segreto su quello che dovrà compiere. Nei sinottici Gesù respinge l’attribuzione di titoli quali Messia e Figlio di Dio. È Giovanni nel suo vangelo a trasporre la messianicità sul piano superiore della filiazione. Gesù vuole che solo gli apostoli lo riconoscano come Messia e lo dimostra il trionfo delle Palme che stupisce i passanti. Per le masse popolari Gesù è e resta un profeta. Come tale si esprime contro l’ipocrisia e il ritualismo presenti nel suo orizzonte terreno che è Israele.
Jules Isaac si rifiuta di pensare che Gesù parli in parabole affinché il popolo d’Israele non comprenda e si perda o sia condannato da Dio. Piuttosto le parabole risentono della preoccupazione degli evangelisti di giustificare agli occhi delle Genti l’incredulità di una parte di Israele. La parabola degli invitati recalcitranti (Mt 22,1-4 e Lc 14,15-24) in cui notabili, sacerdoti e dottori vengono sostituiti al banchetto da poveri e contadini (ammé ha-haretz) è una lezione universale. Nella parabola dei vignaioli omicidi è al piccolo gregge dei discepoli ebrei che verrà affidata la vigna tolta ai vecchi dirigenti del popolo ebraico. Il fico maledetto è il simbolo di ogni ipocrisia religiosa. Le profezie –e non sentenze di condanna – contro la generazione contemporanea di Gesù sono dirette alla classe dirigente e ai discepoli incapaci di scacciare di demoni. Questa gente incredula vedrà venire il regno di Dio.
Gesù predice che rimarrà vittima di anziani, sommi sacerdoti e scribi, non dei farisei e tanto meno del popolo. Solo alcuni tra i farisei e gli scribi sono ostili a Gesù. La parte migliore dell’ebraismo non si associa alla congiura omicida. Il potere a Gerusalemme e nel Sinedrio appartiene a un’oligarchia sacerdotale e laica (gli anziani) composta da alcune grandi famiglie e in particolare quella di Anna e Caifa. Questo gruppo ristretto di tendenze sadducee, ha costumi tirannici ed è asservito a Roma e dunque detestato dal popolo. Agiscono di nascosto e con la paura di essere scoperti. Di fronte ai sommi sacerdoti o al Sinedrio intero, la notte dell’arresto o la mattina seguente (secondo Luca), il primo giorno di Pasqua o la vigilia (secondo Giovanni), Gesù pronuncia una sola affermazione condivisa dai quattro evangelisti: i salmi di Davide e la visione di Daniele si sono realizzati nella sua persona, il Figlio dell’uomo, seduto alla destra di Dio, verrà con le nubi del cielo. Gesù rivendica la sua messianità sovrumana e associata a Dio. Per questa bestemmia il sommo sacerdote si straccia le vesti.
Nessun processo e ancora meno una condanna capitale può avere luogo di sabato o in un giorno di festa e neppure alla vigilia. I sacerdoti e i notabili di Israele manifestano disprezzo per la tradizione ebraica. Nei vangeli appare un Pilato molto diverso da quello delle testimonianze storiche di Giuseppe Flavio e Filone d’Alessandria: un uomo indulgente, comprensivo, bonario. Di fronte a lui le testimonianze dei vangeli discordano: Gesù ha parlato o taciuto? Allo storico che legge i quattro testi della passione appare chiaramente che Gesù è stato flagellato e crocifisso per ordine del procuratore romano. Jules Isaac ha un sospetto nei confronti di Barabba: questo malfattore di nome Gesù Bar-Abbà (figlio del Padre) altro non è che lo stesso Nazareno. Dietro la narrazione si nasconde un’arcaica tradizione della folla di ebrei che implora per lui la grazia. Tutto fa comunque pensare a un accordo fra il procuratore romano e i sommi sacerdoti ebrei da lui nominati.
Nei racconti della crocifissione ci sono poche concordanze. Una di queste è il luogo in cui Gesù fu crocifisso: il Golgota (Cranio in greco). Un’altra è la presenza di donne che alzano il loro lamento lungo il percorso che conduce al monte Calvario. Lo storico nota l’assenza nei testi della Veronica e delle stazioni della Via crucis della tradizione tardo cristiana. Il lettore appassionato della Bibbia scorge nei sarcasmi della gente al condannato, nel vino e nella mirra prima del supplizio (usanza ebraica attestata dal Talmud), nell’acqua e nell’aceto al crocifisso (la pasca dei soldati romani), nella divisione delle vesti e nelle ingiurie dei passanti al morente, un evidente adempimento delle Scritture.
“A mia moglie, a mia figlia, martiri uccise dai nazisti di Hitler, uccise semplicemente perché si chiamavano Isaac”. Con questa dedica si apre Jésus et Israël. Lo scopo del suo autore è tutto nella premessa alla prima edizione: “fare cioè il punto non sulla ricerca scientifica ma sull’opinione tradizionale, sull’opinione corrente nella cristianità, e di mettere così il mondo cristiano di fronte alle sue responsabilità, che sono pesanti”. Ovvero denunciare l’antigiudaismo cristiano che, secolarizzato e contaminato dal razzismo, degenera nell’antisemitismo. Certo l’opera di Jules Isaac ha avuto un influsso considerevole sulla cristianità, ma rileggerla oggi è utile e anzi doveroso, visto il parziale oblio delle comunità cristiane e dei singoli fedeli. Il rinnovamento e la purificazione dell’interpretazione antiebraica delle Scritture cristiane deve continuare. Peraltro la lettura di Jésus et Israël, oltre mostrare l’affetto di Jules Isaac per l’ebreo di Nazareth, restituisce una preziosa immagine realistica della vita di Gesù.
Il presente articolo è stato pubblicato sul periodico trimestrale SeFeR - Studi Fatti Ricerche n. 167 del luglio-settembre 2019. Non può essere riprodotto senza l'autorizzazione scritta della rivista. Per informazioni e abbonamenti scrivere a: fabio.ballabio66@gmail.com
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