Quando
Ebrei e cristiani hanno cominciato a dialogare serenamente
tra loro solo dopo la seconda guerra mondiale e la Shoah. In epoca medioevale
le uniche forme di comunicazione tra loro erano le dispute teologiche spesso
volute dai cristiani e comunque tese alla capitolazione dell’avversario. Un
notevole contributo alla nuova epoca di dialogo è venuto nel XIX-XX secolo
dall’elaborazione di un pensiero dialogico da parte di filosofi ebrei come
Franz Rosenzweigh e Martin Buber.
Il primo dialogo significativo tra ebrei e cristiani avvenne
in occasione della Conferenza internazionale contro l’antisemitismo di
Seelisberg (Svizzera) del 1947. Un centinaio di delegati cristiani (di diverse confessioni) ed ebrei, provenienti da una ventina di paesi, furono coordinati ed ispirati dallo storico francese Jules Isaac e dal gran rabbino Kaplan. In quell'occasione venne anche fondato l'ICCJ (International Council of Christians and Jews). Di seguito il testo in dieci punti del
documento conclusivo: “1. Ricordare che è lo stesso Dio vivente che parla a
tutti noi nell'Antico come nel Nuovo Testamento. 2. Ricordare che Gesù è nato
da ma madre ebrea, della stirpe di David e del popolo d'Israele, e che il suo
amore eterno e il suo perdono abbracciano il suo popolo e il mondo intero. 3.
Ricordare che i primi discepoli, gli apostoli, e i primi martiri, erano ebrei.
4. Ricordare che il precetto fondamentale del cristianesimo, quello dell'amore
di Dio e del prossimo, promulgato già nell'Antico Testamento e confermato da
Gesù, obbliga cristiani ed ebrei in ogni relazione umana senza eccezione alcuna.
5. Evitare di sminuire l'ebraismo biblico e postbiblico nell'intento di
esaltare il cristianesimo. 6. Evitare di usare il termine giudei nel senso
esclusivo di nemici di Gesù o la locuzione nemici di Gesù per designare il
popolo ebraico nel suo insieme. 7. Evitare di presentare la passione in modo
che l'odiosità per la morte inflitta a Gesù ricada su tutti gli ebrei o solo
sugli ebrei. In effetti non sono tutti gli ebrei che chiesero la morte di Gesù.
Né sono solo gli ebrei che ne sono responsabili, perché la croce, che ci salva
tutti, rivela che Cristo è morto a causa dei peccati di tutti noi. Ricordare a tutti i genitori e educatori
cristiani la grave responsibilità in cui essi incorrono nel presentare
il vangelo e sopratutto il racconto della passione in un modo
semplicista. In effetti, essi rischiano in questo modo di ispirare, lo
vogliano o no, avversione nella coscienza o nel subcosciente dei loro
bambini o uditori. Psicologicamente parlando, negli animi semplici,
mossi da un ardente amore e da una viva compassione per il Salvatore
crocifisso, l'orrore che si prova in modo così naturale verso i
persecutori di Gesù, si cambierà facilmente in odio generalizzato per
gli ebrei di tutti i tempi, compresi quelli di oggi.
8. Evitare
di riferire le maledizioni della Scrittura e il grido della folla eccitata;
‘che il suo sangue ricada su noi e sui nostri figli’, senza ricordare che quel
grido non potrebbe prevalere sulla preghiera infinitamente più potente di Gesù:
‘Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno’. 9. Evitare di dare
credito all'empia opinione che il popolo ebraico è riprovato, maledetto,
riservato a m destino di sofferenza. 10. Evitare di parlare degli ebrei come se
essi non fossero stati i primi ad appartenere alla Chiesa”.
Una pietra miliare per il dialogo fu certo la dichiarazione
Nostra Aetate del Concilio Vaticano II dell’ottobre 1965. Di seguito alcune
frasi del punto n. 4 del testo sulle relazioni della chiesa con le religioni
non cristiane: “Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il
vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la
stirpe di Abramo. La Chiesa di Cristo infatti riconosce che gli inizi della sua
fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della
salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti... Essa ricorda anche che dal
popolo ebraico sono nati gli apostoli, fondamenta e colonne della Chiesa, e
così quei moltissimi primi discepoli che hanno annunciato al mondo il Vangelo
di Cristo... Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a
cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra
loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi
biblici e teologici e con un fraterno dialogo. E se autorità ebraiche con i
propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è
stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né
indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro
tempo... La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi
uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non
da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le
persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli
Ebrei in ogni tempo e da chiunque...”.
Ebrei e cristiani non dimenticano che ad Auschwitz sei
milioni di ebrei sono morti per mano di criminali che si professavano
cristiani. E teologo cattolico Johann Baptist Metz afferma: “Noi cristiani non
possiamo ritornare indietro oltre Auschwitz, e da Auschwitz, a ben vedere le
cose, non passiamo mai soli ma sempre con le sue vittime. Stanno qui, a mio
avviso, le radici dell’ecumenismo giudaico-cristiano” (J.B. Metz, Al di là
della religione borghese, Queriniana, Brescia 1981). Tenere fisso lo sguardo su
Auschwitz è un dovere di ogni cristiano. Il documento pontificio Noi
ricordiamo: una riflessione sulla Shoà richiama che, accanto all’assistenza che
molti cristiani offrirono agli ebrei perseguitati dal nazismo, “la resistenza
spirituale e l’azione concreta di altri cristiani non fu quella che ci si
sarebbe potuto aspettare da discepoli di Cristo”.