Il Dio delle benedizioni nella tradizione d’Israele (Numeri 6,24-27)
Desidero innanzitutto ringraziare il Rabbino Capo Giuseppe Laras, il Presidente Emanuele Fiano e i Consiglieri della Comunità ebraica di Milano, i Signori Rabbini e gli amici ebrei qui presenti per la loro calorosa accoglienza e la loro significativa testimonianza.
E’ un ringraziamento che formulo a nome di tutti i cristiani qui riuniti e, soprattutto, a nome dell’Arcivescovo Card. Carlo Maria Martini, che lo scorso novembre a Gerusalemme aveva già pubblicamente espresso la sua intenzione di partecipare a questo incontro, al quale ha dovuto successivamente rinunciare con molto rincrescimento a motivo di un altro impegno pastorale inderogabile.
1.
Come ha già ricordato Gioachino Pistone in rappresentanza del Gruppo Teshuvà, noi cristiani della Chiesa cattolica ambrosiana e di altre Chiese cristiane siamo qui convenuti per metterci in ascolto di Israele.
Voi, cari fratelli del popolo dell’alleanza mai revocata, rappresentate per noi, questa sera, Israele, che prega (concludendo il giorno benedetto dello Shabbat) e che accoglie noi, che siamo le genti, per donare (come abbiamo appena udito dalla voce di Rav Laras) la testimonianza della propria fede nel “Benedetto, il Dio Uno e Unico, Signore del cielo e della terra”, che benedice i suoi figli e il cui santo Nome deve essere sempre benedetto nelle più svariate situazioni della vita.
Grazie a Lei, eccellentissimo e carissimo Rav Laras, per la Sua parola sempre ricca di dottrina e di sapienza, che ci aiuta a vivere con più consapevolezza il significato della berakhà, della benedizione, significato che è costitutivo anche dell’esperienza religiosa cristiana.
Le nostre due tradizioni hanno infatti in comune la fede nel Dio delle benedizioni. Poiché, tuttavia, nella sensibilità dei cristiani con il termine “benedizione” si intende più spontaneamente la benedizione che scende da Dio sugli uomini che non quella che si eleva dagli uomini da Dio, il Rabbino Laras ha insistito sul primo aspetto, in particolare commentando la benedizione dei sacerdoti in Numeri 6,22-27.
Ed è altresì importante che quest’anno i Vescovi italiani abbiano voluto anche la continuità tematica tra la Giornata dell’ebraismo (17 gennaio), in cui si riflette su Il Dio delle benedizioni secondo la tradizione ebraica, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) sul tema tratto dal prologo della lettera agli Efesini Benedetto sia Dio... che ci ha benedetti in Cristo.
2.
Ancora una volta, e particolarmente nell’anno in cui i discepoli di Gesù Cristo fanno solenne memoria della nascita del loro Signore, è importante notare la profonda relazione che intercorre tra le due suddette celebrazioni. Notare, cioè, che la Giornata dell’ebraismo e la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani sono collocate l’una accanto all’altra e notare precisamente che la Giornata dell’Ebraismo si celebra prima della Settimana di preghiera. Per quale motivo? Per il fatto che la Chiesa di Gesù - come ci ricorda Giovanni Paolo II - è legata, “a livello della sua stessa identità”, con il popolo ebraico. Ciò determina che la nostra teshuvà nei confronti degli ebrei sia preliminare alla ricerca di riconciliazione all’interno della cristianità.
D’altronde la cristianità si divise nella misura in cui si affievolirono o addirittura si recisero i contatti con le fonti bibliche e con la “radice santa”, che è e resta Israele.
Al termine di questo secondo millennio dell’era cristiana, nel nostro animo sentiamo come improrogabile l’imperativo di riconoscere ad alta voce la comune colpa dei cristiani che nella loro storia si sono, almeno in parte, allontanati dalle fonti bibliche e dalle radici ebraiche che stanno all’origine del cristianesimo.
Il prezzo più alto di questa nostra colpa è stato pagato dal popolo ebraico.
Pregiudizi antigiudaici e una secolare “cultura del disprezzo” pesano sulla coscienza cristiana almeno da quando ci siamo resi conto che hanno contribuito ad alimentare e a non estirpare la follia dell’antisemitismo che portò alla tragedia della Shoah.
La coscienza di un cristiano come Dietrich Bonhoeffer, affermava: “Solo chi grida per gli Ebrei ha il diritto di cantare il gregoriano”. Anche noi oggi sentiamo l’esigenza che solo chi interpreta il grido che si eleva da un popolo ingiustamente accusato e per secoli perseguitato può cantare e benedire Dio.
Quante false accuse sono state rivolte a Voi, cari Fratelli, in questi duemila anni, anche - purtroppo - da parte di persone che credevano di essere in buona fede.
Tra tutte queste false accuse, quella di “deicidio”, assurda e anzi volgare, assolutamente ripugnante alla nostra sensibilità e in contraddizione patente con la vera dottrina cristiana, per la quale, invece, sono stati i nostri peccati a far morire sulla croce Gesù.
A voi, cari Fratelli ebrei, voglio esprimere la convinzione che tante incomprensioni tra noi possono cadere non perché ci facciamo delle reciproche concessioni in una irenica pratica del dialogo, ma perché ci sforziamo di essere più autenticamente fedeli a Dio e alla sua Parola.
Infatti, pur nella diversità delle nostre tradizioni e dei nostri itinerari religiosi, abbiamo in comune la fede nell’unico Dio e la speranza nella sua Signoria.
Concludo presentando a Lei, carissimo Rabbino Capo, un piccolo segno del nostro lavoro e del nostro affetto:
· il materiale preparato e divulgato capillarmente nella Diocesi di Milano per la prossima Giornata dell’ebraismo;
· un albo fotografico a ricordo del nostro primo incontro qui in Sinagoga esattamente un anno fa;
· e, infine, l’attestazione del contributo che l’Arcidiocesi di Milano ha versato al Keren Kayemeth Leisrael (Fondo Nazionale Ebraico) per la piantagione di un giardino di 100 alberi in Israele.
Abbiamo pensato di intitolare questo giardino alla memoria di un evento importante per i nostri rapporti ebraico-cristiani: il primo incontro pubblico, nella storia di Milano, tra un Arcivescovo e un Rabbino Capo.
In occasione del XXV° anniversario della pubblicazione di Nostra Aetate, il documento del Concilio Vaticano II, sui rapporti della Chiesa cattolica con le altre religioni, si incontrarono il 16 ottobre 1990, presso la Fondazione Ambrosianeum, il Card. Carlo M. Martini e il Prof. Giuseppe Laras.
Sono trascorsi dieci anni da quell’incontro. In quell’occasione l’Arcivescovo Martini illustrò Il cammino che ci attende e questo cammino sta portando i suoi primi frutti: i due incontri qui in Sinagoga sono frutto di quel passo storico che Lei, Rav Laras, e l’Arcivescovo faceste insieme.
Ci è parso significativo esprimerlo intitolando, nella “terra santa”, da entrambi amata, un nuovo giardino alla esplicita memoria di quell’evento storico.
Milano, 15 gennaio 2000
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