mercoledì 17 gennaio 1996

17 gennaio 1996. Giornata dell'ebraismo

"Voi sarete per me proprietà tra tutti i popoli" [Esodo 19,5]

1. PRESENTAZIONE

La giornata del 17 gennaio, istituita nel 1989 dalla Conferenza Episcopale Italiana per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo cristiano-ebraico, va ritenuta un evento di grande rilevanza per la comunità ecclesiale. Si tratta infatti di un’occasione unica per la riproposta di sensibilizzazione, di informazione e di approfondimento, del "vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato alla stirpe di Abramo" (Nostra Aetate, n. 4). Il rapporto cristiano-ebraico, impostato su basi nuove dal Concilio Vaticano II, non deve più essere un impegno solo di vertice nella Chiesa, di alcuni gruppi o movimenti, ma deve diventare coscienza ecclesiale di base. A questo proposito è utile rileggere quanto affermò il Card. Martini: "Un ritardo che ci deve pesare molto... è il non aver considerato vitale la nostra relazione con il popolo ebraico. La Chiesa, ciascuno di noi, le nostre comunità non possono capirsi e definirsi se non in relazione alle radici sante della nostra fede e quindi al significato del popolo ebraico nella storia, alla sua missione e alla sua chiamata permanente" (Popolo in cammino, Milano 1983, p. 79); e ancora: "il problema si è fatto più preciso e decisivo per il futuro della stessa Chiesa. La posta in gioco non è semplicemente la maggiore o minore continuazione vitale dì un dialogo, bensì l'acquisizione della coscienza, nei cristiani, dei loro legami con il gregge di Abramo e le conseguenze che ne deriveranno sul piano dottrinale, per la disciplina, la liturgia, la vita spirituale della Chiesa e addirittura per la sua missione nel mondo d'oggi" (discorso tenuto a Vallombrosa al colloquio dell'International Council of Christians and Jews nel luglio del 1984).

Perché la giornata del 17 gennaio 1995 abbia una sua identità ed un suo preciso sviluppo, la Commissione Diocesana per l'Ecumenismo e il Dialogo ha scelto di approfondire il tema seguente: L'amore del prossimo nell'ebraismo. E' quindi più che mai opportuno che le comunità cristiane, nella loro meditazione e nel loro annuncio della parola, prendano coscienza in modo nuovo di questo argomento che ci coinvolge tutti.

2. IL TEMA DELLA GIORNATA DEL 17 GENNAIO 1996

L'amore del prossimo nell'ebraismo

La tradizione rabbinica racconta che un pagano si presentò da Hillel il Vecchio, celebre maestro dell'epoca di Gesù, e gli domandò di insegnargli la Torah mentre stava su un piede solo. Hillel gli rispose: "Ciò che non vuoi sia fatto a te, agli altri non farlo. Questa è tutta la Torah. Il resto è commento. Va' e studia".

La Bibbia ebraica è piena di sentenze e di raccomandazioni sulle relazioni con gli altri. "Ama il tuo prossimo come te stesso" - di cui la massima di Hillel è una delle varianti popolari - è la base di tutta la morale sociale ebraica, come pure di quella cristiana (cfr. Lv 19,18; Dt 13,7; Mt 22,37-39).

Nella Bibbia l'insegnamento sulle relazioni tra gli esseri umani si fonda sui diritti inalienabili della persona, creata a immagine e somiglianza di Dio. Di conseguenza non ci devono essere esclusioni nell'amore del prossimo. Non basta trattare lo straniero con equità e giustizia, ma occorre andare oltre. "Se uno straniero risiede con voi, nel vostro paese, non lo molesterete. (...) Sarà per voi come un compatriota e tu l'amerai come te stesso poiché siete stati stranieri nel paese d'Egitto" (Lv 19,33-34). Il fatto di essere stranieri non crea uno stato di inferiorità. Di fronte a Dio tutta l'umanità è solidale ed è questa la ragione per cui gli esseri umani devono amarsi gli uni gli altri senza distinzione né restrizione. R. Shimon ben Gamliel disse: “E' con un solenne giuramento che è stata annunciata la parola: ‘Tu amerai il tuo prossimo come te stesso’ (Lv 19,18). Sono io, Dio, che l'ho creata. Se tu l'ami, ti darò fedelmente una buona ricompensa, altrimenti sarò un giudice severo" (Avot de-Rabbi Natan 16). E' Dio stesso che con solenne giuramento ha dato l'obbligo tassativo di amarsi gli uni gli altri.

L'atteggiamento concreto verso il prossimo, nell'ebraismo si fonda sulla convinzione del valore infinito della vita umana a causa della sua origine divina. Non si può infatti immaginare un ordine morale che non si basi su una forte convinzione della santità della vita. I maestri d'Israele considerano la vita come il più grande di tutti i beni, e il conservarla come il dovere più importante. Persino l'osservanza del Sabato, istituito da Dio per distogliere l'essere umano dalle preoccupazioni materiali e per avvicinarlo ai valori divini, può essere anteposta all'obbligo di salvare una vita umana. "Nulla dev'essere anteposto (all'azione destinata a) salvare una vita umana" (Tosefta Shab. 9,22). E nella Mishna' Sanh. 4,5 si afferma: "Chi uccide un uomo è come se avesse ucciso il mondo intero e chi salva un uomo è come se avesse salvato il mondo intero". Il peccato di omicidio è talmente grave che, secondo la Tosefta, annulla la somiglianza dell'uomo con Dio, obbliga la Presenza Divina ad abbandonare il Santuario e addirittura a fuggire dal paese (cfr. Tos. J. ha-Kip. 1,12 e Sifrè a Deuteronomio 62a).

Il movente profondo dell'amore del prossimo è l'amore di Dio. "Non rifiutare il tuo amore a nessuno, poiché chi rifiuta l'amore al suo prossimo è simile a un idolatra" (Sifrè a Deuteronomio 98 b). "Se tu sei misericordioso, il (Dio) Misericordioso avrà pietà di te" (Tos. B. Q. 9,30).

Questo amore del prossimo deve tradursi concretamente con le cosiddette opere di misericordia. "Chiunque disistima il precetto dell'esercizio delle opere di misericordia e dell'elemosina dev'essere considerato come se contestasse il principio fondamentale (della religione, cioè Dio)" (Qoh. R. a 7,1). "La carità sale in alto (e intercede per noi) davanti al trono di Dio" (Sifrè di Deuteronomio 123b). "Preziosa è l'elemosina perché avvicina la redenzione" (B. B. 10a). "Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che il Signore richiede da te: praticare la giustizia, amare con tenerezza..." (Michea 6,8). "Le opere di carità formano l'inizio, il centro e la fine della Torah" (Qoh. R. a 7,2). "Queste sono le cose delle quali l'uomo mangia gli interessi in questo mondo, ma il capitale gli rimane per il mondo a venire: onorare suo padre sua madre, praticare le opere di carità... visitare i malati... e accompagnare i morti (alla loro ultima dimora)" (Rituale di preghiere).

L'amore del prossimo è effettivamente uno dei principi fondamentali dell'ebraismo. Una massima dei Pirqè Avot (1,2), messa sulla bocca di Simone il Giusto, afferma: "Il mondo poggia su tre pilastri: sulla Torah, sul culto e sull'esercizio delle opere di misericordia".

Quanto espresso fa intuire l'intensità con cui l'ebraismo insiste sull'amore del prossimo e la concretezza per esprimerlo nelle situazioni particolari. Possiamo inoltre constatare quanto sia palesemente errata la concezione che presenta il comandamento dell'amore come patrimonio esclusivo del cristianesimo e l'ebraismo dominato da "legalismo" senza amore.

3. LA COSCIENZA CRISTIANA DELLA RELAZIONE CON IL POPOLO EBRAICO

Dal 47° Sinodo della Diocesi di Milano

La conoscenza della tradizione ebraica vivente

Chiesa e popolo ebraico sono due comunità “legate a livello stesso della propria identità” (cfr. GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione ai delegati delle conferenze episcopali per i rapporti con l’ebraismo). Tuttavia la relazione delle comunità cristiane con il popolo ebraico non può essere confusa con l'ecumenismo, che concerne il dialogo tra le chiese cristiane. Un rapporto positivo del cristiano con la tradizione ebraica vivente costituisce un presupposto fondamentale non solo per una corretta lettura dell'Antico Testamento, ma anche per un’intelligenza cristiana della storia della salvezza. Infatti, l'autocoscienza cristiana, e dunque lo stesso cammino ecumenico, presuppongono la radice ebraica (cfr. Rm l1,16-18).

Nella storia delle Chiese non sono mancati gravi pregiudizi antiebraici che hanno favorito la diffusione dell'antisemitismo. Nella predicazione e nella prassi pastorale occorre eliminare pertanto quei pregiudizi e modi di esprimersi erronei e offensivi nei confronti di ebrei e di ebraismo che hanno generato in passato un diffuso sentimento antigiudaico. Non è sufficiente condannare l'antisemitismo. E’ necessario “essere per il popolo ebraico” (cfr. C. M. MARTINI, Che tutti i popoli vivano!), cioè venerarne il mistero, conoscerne la storia e le tradizioni religiose, la cultura e le ricchezze spirituali. Pertanto venga proposto lo studio dell'ebraismo nel seminario teologico e negli istituti di formazione religiosa.

I fedeli e i presbiteri si educhino a vivere un atteggiamento di vera e fraterna amicizia e collaborazione con gli appartenenti alla comunità ebraica con cui vengono in contatto e a sviluppare la comune responsabilità di credenti di fronte ai problemi della società.

L'annuale giornata dell'ebraismo, istituita dai vescovi italiani a partire dal 17 gennaio 1990, venga celebrata in tutte le comunità e adeguatamente illustrata nelle assemblee liturgiche della domenica precedente. Essa ha lo scopo di introdurre i fedeli a una conoscenza più profonda dell'ebraismo e intende favorire la crescita di un sincero amore verso il popolo ebraico. Gli uffici diocesani competenti preparino i sussidi adeguati.

L'integrale accoglienza della rivelazione ebraico-cristiana

La relazione della comunità cristiana con il popolo ebraico appartiene alla struttura stessa della fede che si fonda sulla rivelazione biblica. La fede cristiana, che afferma l'unità dei due Testamenti, esige che il Nuovo Testamento non venga contrapposto all'Antico, ma che sia letto in continuità con esso. Per l'ebreo Gesù la Bibbia ebraica è Parola di Dio: i suoi discepoli in ogni tempo devono cercare di interpretare l'Antico Testamento con la sua stessa fede (cfr. Lc 24,25-27).

Nella predicazione e nelle celebrazioni liturgiche si abbia cura di presentare le Scritture dell'Antico Testamento nella loro specificità e nel loro contesto storico-salvifico. Infatti l'estensione del senso apportata dal Vangelo non elimina ogni altro senso e il pieno adempimento della Legge e dei Profeti da parte di Gesù non li abolisce (cfr. Mt 5,17).

Il riconoscimento della ebraicità di Gesù e della Chiesa madre a Gerusalemme fa prendere coscienza dei legami con il popolo di Abramo e delle conseguenze che ne derivano per la dottrina, la disciplina, la liturgia, la vita spirituale della Chiesa e addirittura per la sua missione nel mondo di oggi.

I pastori educhino le comunità cristiane a riconoscere il ruolo singolare di Israele nella storia della salvezza e a non intendere la Chiesa in termini sostitutivi o antitetici al popolo ebraico.

La Congregazione per il rito ambrosiano nella revisione dei libri liturgici sia attenta a modificare eventuali espressioni, che risentano di pregiudizi antigiudaici o che possano prestarsi a interpretazioni meno corrette.

Gli uffici competenti vigilino affinché i sussidi liturgici, catechetici e pastorali siano coerenti con le indicazioni offerte dai documenti della Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo dell'allora Segretariato per l'unione dei cristiani (Segretariato per l’unione dei cristiani - Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione della dichiarazione “Nostra Aetate”, n. 4; Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica).

4. SUGGERIMENTI

Bibliografia utile per una teologia di base circa i rapporti cristiano-ebraici:

- L. SESTIERI, G. CERETI, Le chiese cristiane e l’ebraismo 1947-1982, ed. Marietti, Casale Monferrato 1982;

- C. THOMA, Teologia cristiana dell’ebraismo, ed. Marietti, Casale Monferrato 1983;

- AA.VV., In dialogo con i “fratelli maggiori”, ed. A.V.E., Roma 1988;

- M. PESCE, Il cristianesimo e la sua radice ebraica, ed. Dehoniane, Bologna 1994;

- R. FABRIS, L’olivo buono. Scritti su ebraismo e cristianesimo, ed. Morcelliana, Brescia 1995.

A cura della Commissione Diocesana per l’Ecumenismo e il Dialogo,

Piazza Fontana, 2 - Milano

 

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