In accordo con l’ARI (Assemblea dei Rabbini d’Italia) i temi da trattare in occasione della Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei (17 gennaio) erano i profeti (Geremia, Isaia, Ezechiele) dal 2022 al 2024 e Nostra Aetate (60° anniversario) nel 2025. A sorpresa il tema proposto da ARI è stato il giubileo nell’occasione del Giubileo cattolico del 2025 che ha per tema Pellegrini di speranza (Peregrinantes in spem). Per l’ARI sarà l’occasione di trattare questioni quali la terra e la giustizia sociale. La CEI privilegerà la tematica della speranza. Un paragrafo comune sugli argomenti di Nostra Aetate concluderà entrambi i messaggi.
Il rabbino capo di Milano, rav Alfonso Arbib, in un incontro precedente ha messo in evidenza come il tema del giubileo biblico (Levitico/Va’iqrà 25) abbia a che fare con la Terra in generale, intesa come ambiente/ecosistema, e con la terra di Israele in particolare. Spesso la condizione di esilio del popolo ebraico è stata letta anche come conseguenza della mancata osservanza degli anni sabbatici e dei giubilei. Il messaggio dell’ARI potrebbe dunque trattare il rapporto tra esilio e giubileo in chiave di teshuvà (ritorno a Dio, pentimento, inversione ad U).
Trattando da parte cattolica il tema della speranza è bene non dimenticare Hans Urs von Balthasar e il suo “sperare per tutti”. Allo stesso modo l’equivalente neotestamentario di teshuvà è metànoia (modifica del modo di pensare e cambiamento del punto di vista). Il tema della giustizia sociale può rimandare alle beatitudini evangeliche (Matteo 5,3-12; Luca 6,20-38).
Nel messaggio della CEI occorrerà anche riflettere sui motivi della rottura del dialogo tra ebrei e cattolici a cui si è andati molto vicini a seguito del massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023. D’altro canto bisognerà anche accennare alla parziale ricezione della dichiarazione Nostra Aetate nelle comunità cattoliche italiane. Qui si vive un momento di forte frizione tra chi è sensibile al dato biblico e al dialogo cristiano-ebraico e chi parteggia per i palestinesi. Tuttavia schierarsi da una parte o dall’altra non fa che esacerbare i conflitti. L’intercessione sembra l’unico atteggiamento opportuno da tenere in questo contesto. È dunque necessario un dialogo della chiesa con se stessa (ad intra) al cospetto dell’ebraismo.
Sembra urgente anche un ritorno alle fonti del dialogo e all’idea di Israele come radice santa della fede cristiana. Il sussidio per il 17 gennaio potrebbe spiegare che, seppure nell’ebraismo la dimensione religiosa non sia totalmente separabile da quella etico-politica, l’ebreo che vive in Italia e più genericamente in diaspora non può essere ritenuto corresponsabile delle politiche del governo israeliano. Anche all’interno dello Stato d’Israele, in un contesto estremamente più drammatico, c’è l’esigenza di un dialogo (ad intra) tra sionismo laico ed ebraismo religioso che sembrano sull’orlo di una guerra civile. Il sionismo come riscatto etico-politico viene oggi strumentalizzato in funzione etnico-religiosa.
Emozioni quali paura, disgusto e risentimento che sono seguiti al 7 ottobre non sono dissimili da quelle che seguirono gli attentati di Al Qaeda dell’11 settembre 2001. Il populismo le ha cavalcate allo stesso modo, al punto che ad ogni attentato che avviene in Italia o in Europa, siamo noi che chiediamo ai musulmani di discolparsi. Solo in Europa, grazie all’Illuminismo, si distingue ancora tra politica e religione. Non così avviene altrove nel mondo: spesso in Oriente non c’è differenza tra l’atteggiamento delle religioni dharmiche e le posizioni del patriarca Kirill sul Russkij Mir (mondo russo). Anche in Europa tuttavia la fragilità della democrazia è sotto gli occhi di tutti.
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