Il tema scelto dal gruppo ecumenico del Burkina Faso per la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani di quest'anno è "Ama il Signore Dio tuo ... e ama il prossimo tuo come te stesso" (Luca 10,27). Può essere utile riandare all'introduzione al tema della Giornata dell'ebraismo del 2005 a firma del rabbino Giuseppe Laras e del vescovo Vincenzo Paglia:
In
questo momento storico segnato dall’odio, striato di sangue e lacerato
dalle divisioni, Ebrei e Cristiani trovano nella Parola di Dio una
comune
fonte di ispirazione. Scrive il Deuteronomio: “Ascolta,
Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore. Amerai dunque il
Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con
tutta la tua forza” (6, 4-5). E il Levitico aggiunge: “Amerai il
prossimo tuo come te stesso” (19,18). Gesù, allo scriba che lo interroga
sul “primo di tutti i comandamenti” risponde intrecciando questi due
passi e conclude ricordando che “non c’è altro comandamento più
importante” (Mc 12,29-31). La voce di Mosè e quella di Cristo parlano
all’unisono riconoscendo che l’amore è l’anima profonda della Legge.
Il
Signore nostro Dio si presenta come il Dio del hesed, ossia della
fedeltà amorosa, espressa attraverso le sue azioni cosmiche e storiche,
cantate dal “grande Hallel ”, il Salmo 136 (135), scandito appunto
dall’antifona: “Eterno è il suo hesed ”, il suo amore misericordioso.
Egli è un Dio che “ama tutte le realtà che esistono e nulla disprezza di
quanto ha creato… Egli risparmia tutte le realtà perché tutte le cose
sono sue, egli che è il Signore amante della vita” (Sap 11,24-26). Non
per nulla nelle pagine sacre il suo volto rivela tutti i lineamenti
dell’amore, da quello nuziale a quello paterno e materno fino al profilo
amicale.
La sua è un’epifania d’amore. Egli si china su Israele suo
popolo dicendogli: “Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo
il mio hesed ”, il mio amore fedele (Ger 31,3). Egli, però, si rivolge
anche al singolo fedele per offrirgli la sua bontà, il suo sostegno e il
suo perdono: “Tu sei buono, Signore, e perdoni, sei pieno di amore
(hesed) per chi ti invoca” (Sal 86/85,5). La sua attenzione speciale è
rivolta agli ultimi della terra dei quali egli è per eccellenza il
difensore e il tutore amoroso: “Padre degli orfani e difensore delle
vedove è Dio” (Sal 68/67,6). Il manto luminoso del suo amore si stende
su tutta l’umanità: “Ti benedirà il Signore delle schiere celesti:
Benedetto sia l’Egiziano mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e
Israele mia eredità” (Is 19,25). E tutte le generazioni, che pure
conoscono la sua giustizia, sono avvolte dal suo generoso e infinito
amore: “Egli conserva il suo favore per mille generazioni, perdonando la
colpa, la trasgressione e il peccato” (Es 34,7).
Il cristianesimo
raccoglie questo messaggio della Prima Alleanza e ne fa quasi il suo
vessillo coniando quella straordinaria definizione: “Dio è amore” (1Gv
4,8-16) e chiamandolo il “Dio dell’amore” (2Cor 13,11). La stessa figura
di Gesù, che “Passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano
sotto il potere del diavolo” (At 10,38) e che è “l’amato” per eccellenza
(Mc 1,11; 5,7), ha come sua missione primaria quella di rivelare
l’amore del Padre: “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo figlio
unigenito” (Gv 3,16). Sant’Ambrogio in modo folgorante dichiarerà che
“caritas Dei Verbum est”, il Verbo è l’amore di Dio (Expositio in
Psalmum CXVIII, 15,39).
A questo amore divino celebrato dalla Bibbia,
amore che non ignora la giustizia come segno della verità dell’amore,
deve corrispondere la risposta umana, lapidariamente espressa in quel
“primo e più importante comandamento”. “Se Dio ci ha amati, anche noi
dobbiamo amarci… Se ci amiamo, Dio dimora in noi e il suo amore è
perfetto in noi” (1Gv 4,11-12).
Ecco, allora, le due dimensioni del
comandamento principe che Gesù ha desunto dalla Torah. C’è innanzitutto
l’impegno di amare Dio “con tutto il cuore, con tutta l’anima e con
tutte le forze” (Dt 6,5), espressione di un’adesione non meramente
devozionale ma esistenziale, scegliendo le vie del Signore, “i sentieri
della giustizia, le strade degli amici del Signore” (Pr 2,8). “Ti amo,
Signore, mia forza” (Sal 18/17,2) è, quindi, la comune professione
d’amore dell’ebreo e del cristiano ed è nella rilettura mistica del
Cantico dei Cantici che essi trovano la parabola ideale della loro
relazione di intimità col Signore.
L’amore poi si deve orientare
verso i fratelli: “Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama
Dio ama anche il suo fratello” (1Gv 4,21). Le celebri “antitesi” del
Discorso della Montagna (Mt 5,21-48), pur indicando l’originalità del
messaggio cristiano, non vogliono mettere in opposizione la Torah e il
Vangelo; anzi, vogliono riscoprire l’anima radicale e profonda della
Torah, la potenzialità che essa contiene, l’assolutezza dell’amore che
ad essa è sottesa. Si ha, così, per Ebrei e Cristiani l’esercizio
dell’amore fraterno in tutte le sue sfumature di giustizia,
misericordia, benevolenza, generosità, amicizia, solidarietà, rispetto
della dignità umana. Significativi sono gli
esempi di Giuseppe
generoso con i suoi fratelli, di David verso il figlio ribelle Assalonne
(2Sam 19,1.7), delle premure per l’asino del nemico (Es
23,4-5), del
rispetto dei diritti dello straniero: “Il forestiero dimorante tra di
voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come te
stesso” (Lv 19,34).
Una generosità che privilegia i diversi e i
miseri, come ammonisce la Legge: “Non molesterai il forestiero né lo
opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Non
maltratterai la vedova e l’orfano. Se tu li maltratti, quando invocherà
da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido” (Es 22,20-22). Una generosità
che Gesù tratteggerà in modo intenso nella sua rappresentazione del
giudizio divino che verterà appunto sull’amore per gli affamati, gli
assetati, i forestieri, i nudi, i malati, i carcerati” (Mt 25,31-46).
Nella tradizione giudaica c’è questo mirabile detto dei Padri di
Israele: “Simone il Giusto era solito dire: Il mondo si fonda su tre
cose: la Torah, il culto e gli atti di misericordia” (Abôt 1,2).
Sulla
scia della dichiarazione congiunta del Comitato Internazionale di
Collegamento Cattolico-Ebraico, emessa al termine della sua XVIII
sessione plenaria a Buenos Aires l’8 luglio 2004 e intitolata Tzedeq e
Tzedaqah – Giustizia e Carità, anche la Chiesa Italiana nella Giornata
di riflessione sui
rapporti tra ebraismo e cristianesimo riafferma
che “Gli Ebrei e i Cristiani hanno lo stesso dovere di lavorare per la
giustizia con carità, arrivando così
alla pace (Shalom) per tutta
l’umanità. Fedeli alle nostre rispettive tradizioni religiose, vediamo
questo impegno comune nei confronti della giustizia e della carità come
la cooperazione dell’uomo con il piano divino per costruire un mondo
migliore”.