mercoledì 20 ottobre 2021

 

Nel canone ebraico la meghillàt Estèr, che risale a un periodo tra il IV e il II sec. e.v., è priva del nome (JHWH) impronunciabile di Dio. Il libro deuterocanonico di Èster, scritto più tardi in greco, comprende aggiunte e varianti pie che sembrano voler colmare quella lacuna. Il rotolo che narra la storia di Hadassah non è tra i manoscritti ritrovati alla metà del secolo scorso nelle grotte di Qumran, ma se anche la setta di stretta osservanza degli Esseni l’avesse espunto dal canone, per Shimon ben Lakish (III sec. e.v.) e Maimonide (XII sec) Ester rimarrà con la Torà nel “mondo avvenire” dopo la venuta del Messia. Questa fiaba d’Oriente senza istanze religiose o richiami ad altri libri biblici, si conclude indicendo la festa di Purim, o forse giustificando una festa antichissima di burlesche battaglie fra opposte frazioni e di pubblici banchetti. La storia narrata si svolge in tempo e in terra d’esilio, dopo l’editto di Ciro (538 a.e.v.) che aveva riportato dalla Persia a Gerusalemme solo un resto del popolo ebraico, e forse la sua redazione si chiude all’epoca della profanazione del tempio di Antioco Epifane e della rivolta dei Maccabei (167 a.e.v). Una dialettica tra golah (esilio, nascondimento, abbandono, altrove) e gheullah (redenzione). Si apre con simili considerazioni sul rotolo di Ester e con un confronto tra tre donne che danno il loro nome a libri biblici - Ester e Rut nella Bibbia ebraica (e protestante) e Giuditta in quella cristiana (cattolica e ortodossa) - il libro di Giusi Quarenghi della collana “Madri della fede”. Procede poi con la lettura per intero della Meghillà per eccellenza, interrotta da riflessioni, rinvii, suggestioni, ricerche di significati, aperture di senso, domande sul tempo presente. Nel segno di un’assenza di Dio che, citando André Neher, è il segno di una presenza troppo incandescente per essere detta o, al contrario, del desiderio che gli uomini e soprattutto le donne se la sbrighino da soli.

mercoledì 6 ottobre 2021

“A me, perché nata in Asti e in Asti vissuta, è toccato l’onore di presentare a’ miei concittadini alcune note di quella musica interiore, che, pur fra le ansie di una professione, di un’industria, di un commercio, fra le competizioni e le lotte di ogni specie di questa nostra travagliata vita, quattro uomini di questa terra hanno saputo difendere e amorosamente conservare per adornarsene e sollevare il proprio spirito, e conferire alla loro vita un senso al di là e al di sopra delle costrizioni di ogni giorno”. Si apre così il piccolo volume di poesie Luci vaganti pubblicato nel 1948 dalla casa editrice Arethusa. Sara Treves, insegnante di Lettere e prima docente donna in un liceo italiano, prosegue così: “A loro si accompagna un pensoso giovane, a cui la natura ha fatto dono di un’eccezionale sensibilità, che egli conforta accresce esalta collo studio e con un conscio e meditato amore dei classici. Se gli sarà dato di esprimere il suo mondo intimo - e gli sarà dato, se è vero che dall’alba si conosce il giorno - Asti si glorierà di annoverarlo tra i suoi figli”.

A distanza di più di settant’anni la MC Editrice di Milano, su segnalazione dell’Università di Asti, ha deciso di ripubblicare in un piccolo libro le poesie di quel “pensoso giovane” che fu Paolo De Benedetti. Michela Bianchi si è occupata del coordinamento dell’opera: “Mi hanno commosso la forza e la grazia, l’intensità matura dei versi di Paolo De Benedetti, allora adolescente, e da cui si può riconoscere quello sguardo poetico che ha continuato ad accompagnare tutta la sua vasta attività successiva. … Confido che lo sguardo poetico di Paolo De Benedetti, che molto ci ha aiutato a comprendere, che restituisce memoria trasformando il dolore, sia d’aiuto ancora per vedere la dimensione collettiva dell’esistenza e agire con una nuova innocenza”.

Scrive Maria De Benedetti: “Era il gennaio del 1948: quasi tre anni dalla fine della guerra. Ma per tutti noi, sopravvissuti ai suoi orrori, era ancora tempo di elaborare esperienze altrimenti indicibili. … (Sara Treves) ha sicuramente offerto ai suoi allievi modelli ricchi di umanità, di impegno civico e di indubbia professionalità: i nostri padri, i costruttori, coloro che allora hanno contribuito a dare futuro all’Italia. Da loro fu amata, rispettata, venerata: l’esperienza vissuta con lei li ha resi consapevoli. Scampata alla Shoah grazie all’ospitalità di una famiglia amica, e al tacito impegno della città di Asti a ‘non volerla trovare’, ha continuato a dare vita al bisogno di memoria e di cultura. Nella prefazione da lei scritta per Luci vaganti è contenuta anche la sua profezia su Paolo, il più giovane del gruppo, suo grande ammiratore: sì - ora lo possiamo affermare - ha letto con rispetto e tenerezza, nei ventuno anni di Paolo, il suo futuro. Ebbene, cosa ci dicono oggi queste poesie di Paolo? La giovinezza che incontra morti atroci, il suo grido che chiede ricordo, che afferma il diritto di non sottomettersi. Come possiamo usarle oggi? Quando la guerra qui in Europa) è sostituita dalle catastrofi naturali e dalle epidemie? Oggi che molti nostri giovani rivendicano il diritto a una propria giovinezza non afflitta dalla fatica del vivere? Sappiamo oggi proporre progetti che i giovani possano condividere, accettando la fatica dell’apprendere e il coraggio dell’essere responsabili?”.
 

Il discorso della montagna (Matteo 5) di Gesù di Nazaret

  LE BEATITUDINI (PREMESSA ALLE SUPERTESI) Il rotolo di Qumran 4Q525 2 II, 1-6 ha 9 beatitudini, di cui solo le ultime 5 sono conserva...