martedì 30 giugno 2015

Elio Toaff e Ada Janes

Nell’estate di cinquant’anni fa, mentre Saragat e De Gaulle inauguravano il traforo del monte Bianco, mentre Moro, allora Presidente del consiglio, lottava contro la disoccupazione, mentre Gimondi vinceva il Giro d’Italia, alcuni prelati indirizzavano una lettera a papa Paolo VI in cui manifestavano la loro contrarietà agli schemi sulla libertà religiosa, sulla rivelazione divina, sulla chiesa nel mondo moderno e sulle relazioni tra la chiesa e le religioni non cristiane.

Il Concilio Vaticano II osservava una pausa tra la terza sessione, terminata nel novembre precedente, e la quarta, che sarebbe cominciata di pari passo con l’anno scolastico. Rav Elio Toaff, “ultimo rabbino ordinato nel Collegio Rabbinico di Roma prima della sua chiusura sotto il fascismo”, era ormai Rabbino capo a Roma da più di un decennio; suor Ada Janes aveva ricevuto da più di un anno ormai il mandato di riparare “i pregiudizi e le sofferenze causate nella storia agli ebrei dai cristiani” e di adoperarsi per “una migliore conoscenza del giudaismo stesso tramite iniziative di studio, di dialogo e di incontro personale”.

A dare alle Suore di Sion questo mandato fu quello stesso cardinale Bea che fu grande amico di Toaff. Nella sua autobiografia, infatti, l’allora Rabbino capo della Città eterna ricorda con particolare calore gli anni del pontificato di Giovanni XXIII, l'esperienza del Concilio Vaticano II, l'approvazione della dichiarazione Nostra aetate e, appunto, l'amicizia che in quegli anni lo legò a Bea, a Rijk e ad altri “protagonisti della stagione conciliare quali i cardinali Johannes Willebrands e Jorge Mejìa”.

A mezzo secolo dal Concilio Vaticano II, a poche settimane l’uno dall’altra, anche Elio Toaff e Ada Janes ci hanno lasciato. Una donna “buona, appassionata, convinta e tenace” e un uomo “sapiente, coraggioso, arguto, modesto”. Sta a noi ora raccogliere la loro preziosa eredità nel campo del dialogo tra ebrei e cristiani. Lo facciamo con lo stesso coraggio e la stessa convinzione pubblicando un articolo in cui Arthur Green allarga i paletti della tenda d’Israele includendo monaci buddisti ed ecologisti laici, giullari che fanno sorridere la gente e musicisti che fanno lievitare lo spirito: “quando prego Dio di portare la pace su di noi e su tutto Israele mi ritrovo a voler includere anche tutti costoro”.


 

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